immagine di un momento della conferenza

Presentato in Conferenza stampa presso il Ministero il progetto Interceptor; hanno preso parte il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, il Direttore Generale AIFA, Mario Melazzini, il Professore Paolo Maria Rossini, esponente del Tavolo di lavoro e Patrizia Spadin, Presidente di AIMA (Associazione italiana malati di Alzheimer), ha mooderato l’evento la giornalista Livia Azzariti.

Il tema delle demenze è al centro dell'attenzione a livello mondiale a causa del progressivo invecchiamento delle popolazioni, che sta portando ad un rilevante cambiamento demografico con ricadute sulla sostenibilità dei sistemi sanitari.

La Malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente patologia neurodegenerativa. La prevalenza della malattia aumenta con l’età e raggiunge il 15-20% nei soggetti di oltre 80 anni. Il problema è destinato a crescere: secondo le stime ogni anno vengono diagnosticati 7,7 milioni di nuovi casi (come dire che ogni 3 secondi viene diagnosticato un nuovo caso) e la sopravvivenza media dopo la diagnosi è oramai di oltre 10 anni. La demenza di Alzheimer si manifesta con lievi problemi di memoria; nel corso della malattia questi e altri deficit cognitivi si acuiscono e possono portare il paziente non solo al grave disorientamento nel tempo, nello spazio e verso le persone, ma anche a trascurare la propria sicurezza personale, l’igiene e la nutrizione, sino alla totale perdita della propria autonomia e alla completa dipendenza dai familiari o altri care giver. La malattia di Alzheimer rappresenta, quindi, una priorità nell'agenda globale.

Oggi purtroppo non esistono farmaci in grado di fermare o far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi o limitarne l’aggravarsi per alcuni mesi.

Negli ultimi anni l’approccio più frequente della ricerca è quello di sviluppare un intervento farmacologico precocissimo sulle prime fasi della malattia in cui i sintomi sono minimi.  A tal fine, è stata posta maggiore attenzione all’individuazione di biomarcatori che permettano di predire la conversione verso la demenza di Alzheimer dei pazienti con lieve compromissione delle funzioni cognitive (Mild cognitive impairment), ovvero individui con rischio maggiore di sviluppare malattia di Alzheimer (circa 735.000 persone in Italia). 

In tale scenario, l’Agenzia Italiana del Farmaco, insieme ad un gruppo di esperti sulle demenze, ha dato avvio ad una serie di attività programmatiche, al fine di essere pronti a gestire l’evenienza dell’arrivo sul mercato di uno o più farmaci capaci di prevenire o curare la demenza di Alzheimer. Nei prossimi anni, infatti, termineranno le sperimentazioni di oltre 50 farmaci potenzialmente in grado di rallentare/arrestare l’Alzheimer. Ma molti di essi agiranno solo nelle forme “prodromiche” di malattia che appartengono ad una condizione definita Mild Cognitive Impairment (MCI).

 Lo studio Interceptor

Gli esperti, quindi, hanno disegnato uno studio osservazionale (Interceptor) che coinvolgerà 400 pazienti con lievi deficit cognitivi, di età compresa tra 50 e 85 anni, distribuiti in 5 centri italiani, specializzati nella diagnosi e nella cura della demenza di Alzheimer.

Nello studio saranno valutati 7 marcatori (selezionati sulla base dell’evidenza scientifica ad oggi disponibile), al fine di stabilire quali siano più sensibili e specifici per predire la conversione del lieve declino cognitivo in demenza di Alzheimer. Nel disegno si tiene conto della fattibilità del progetto e della sostenibilità dei costi. Il costo totale stimato per i 400 pazienti è pari a euro 3.950.000.  Il vantaggio in termini sanitari ed economici è evidente se si considera che, in Italia, il numero totale dei pazienti con demenza di Alzheimer (circa la metà di tutte le varie forme di demenza) è stimato in oltre 600.000 casi e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Stime di calcolo circa i costi socio-sanitari della demenza di Alzheimer ipotizzano cifre complessive pari a circa 6 miliardi.

Tutti i pazienti saranno valutati mediante i 7 biomarcatori: alcuni test neuropsicologici, il dosaggio di alcune proteine su campioni di liquor cefalorachidiano, la tomografia ad emissione di positroni (PET), l’analisi genetica, la valutazione del tracciato elettroencefalografico (EEG) per connettività e la risonanza magnetica volumetrica.

Inoltre, alcuni campioni biologici (DNA, siero, plasma e liquor) saranno conservati in un biorepository (a -80 °C), pronti per eventuali altri test, se nel prossimo futuro dovessero emergere nuovi marcatori.

I pazienti saranno monitorati per 3 anni, al termine dei quali sarà possibile concludere quale biomarcatore o quale combinazione di biomarcatori, è stato in grado di selezionare con maggior precisione l’evoluzione della malattia a 3 anni dalla diagnosi.

L’obiettivo finale è, quindi, quello di essere pronti a fare uno screening su base nazionale della popolazione di pazienti a rischio di evoluzione verso l’Alzheimer, al fine di ottimizzare la distribuzione del/dei nuovo/i farmaco/i, con lo scopo anche di evitare di esporre al trattamento e alle potenziali correlate reazioni avverse pazienti che non ne trarrebbero giovamento e garantendo, quindi, la sostenibilità del sistema.

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Data di pubblicazione: 6 dicembre 2017, ultimo aggiornamento 20 giugno 2022