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Secondo i dati ISTAT, gli stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2015 sono 5.014.437  (2.372.796 uomini e 2.641.641 donne ) e rappresentano circa l’8% della popolazione residente totale. Nel 2016 si riscontra un incremento di 39 mila unità (8,3%).  Inoltre nel 2015 sono nati circa 93 mila bambini.

Le informazioni sulle condizioni di salute e sull’accesso ai servizi sanitari degli stranieri residenti nel nostro Paese appaiono ancora piuttosto frammentarie e poco dettagliate a livello territoriale. Infatti, le principali fonti demografiche attualmente disponibili per la rilevazione della presenza straniera (le indagini Istat relative alla popolazione straniera residente, i Permessi di Soggiorno (PDS), rilasciati dal Ministero dell’Interno agli stranieri regolarmente soggiornanti, gli archivi regionali delle anagrafi sanitarie, relativi agli iscritti al Servizio Sanitario Nazionale fanno riferimento ad aggregati demografici non perfettamente coincidenti.

Il profilo epidemiologico della popolazione immigrata descrive un quadro ancora relativamente favorevole: si ammalano di meno perché hanno scelto di emigrare dal proprio paese coloro che possedevano un buon capitale di salute da scambiare con la forza di lavoro (anche se le persone che stanno immigrando nel nostro paese in forza di processi di ricongiungimento non presentano più questa protezione) ed esprimono minori bisogni di salute anche a causa di difficoltà culturali e materiali all’accesso ai servizi. Tuttavia su alcuni problemi questo gruppo di popolazione incomincia a manifestare importanti eccessi di morbosità e di esiti sfavorevoli, che sono conseguenza o di condizioni di vita o di lavoro poco sicure (traumi), o di fattori di rischio propri dell’area di provenienza (malattie cosiddette di importazione, come quelle endemiche o quelle ereditarie tipiche del paese di origine) o di errori nel percorso assistenziale, per quello che riguarda le donne particolarmente evidenti in tutto il percorso nascita.

Incidenza dei nati da genitori stranieri sul totale dei nati residenti in Italia

E’  importante considerare la qualità dell’assistenza durante la gravidanza nella vita delle donne straniere, visto che in 16 anni l’incidenza dei nati da genitori stranieri sul totale dei nati residenti in Italia è passata dal 4,0% del 1999 al 19,2% del 2015. In generale, anche se si riscontra sempre una spiccata tendenza a ricomporre in Italia la famiglia precedentemente costituita nel paese di origine, in cui frequentemente sono già nati dei figli, è sempre forte la tendenza ad ampliare la dimensione familiare scegliendo di avere figli. Tuttavia  I dati più recenti  sulla composizione delle nascite per cittadinanza della madre (italiana/straniera) mostrano  che  anche il contributo delle cittadine straniere alla natalità si va riducendo I nati da madre straniera, infatti, scendono nel 2015 a 93 mila ossia oltre 5 mila in meno (-5,4%) del 2014.

In calo ma comunque rilevanti, visto che rappresentano il 19,2% del totale, le nascite da madre straniera presentano un impatto assai differente da un luogo all’altro del Paese. In particolare, la più radicata presenza straniera nelle regioni del Nord e del Centro determina quote di nati da madre straniera ben più significative. In Emilia-Romagna si registra oltre il 30% di neonati con tale status, in Lombardia circa il 28% e in Toscana il 25%. Minime, al contrario, le quote osservate nel Mezzogiorno: dal 7% in Campania al 10% in Calabria.


I dati del CeDAP

I dati del Rapporto CeDAP (Certificato di assistenza al parto) 2013, pubblicato a novembre 2015, ci aiutano a monitorare questa importante fase di vita delle donne immigrate. I dati, rilevati su un totale di n. 482 punti nascita ci dicono che il 20% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Il fenomeno è più diffuso al Centro-Nord dove oltre il 25% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna e Lombardia, il 30% delle nascite è riferito a madri straniere. Le aree geografiche di provenienza più rappresentative, sono quella dell’Africa (25%) e dell’Unione Europea (26%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana sono rispettivamente il 18% e l’8% di quelle non italiane.

Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 28 anni

Per quanto riguarda l’età, si conferma per le cittadine italiane un’età media della madre di 32 anni che scende a 28 anni per le cittadine straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane quasi in tutte le Regioni superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 27,9 anni.
Il livello di istruzione della madre può influenzare sia l’accesso ai servizi sia le strategie di assistenza verso il feto ed il neonato. Delle donne che hanno partorito nell’anno 2013 il 44,2% ha una scolarità medio alta, il 29,9% medio bassa ed il 25,9% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (48,3%).6. L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 57% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 29,8% sono casalinghe e il 10,9% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2013 è per il 53,1% quella di casalinga, mentre il 63,9% delle madri italiane ha invece un’occupazione lavorativa.

Analizzando la percentuale di gravidanze in cui viene effettuata la prima visita oltre la 12°settimana di gestazione si evidenziano alcune correlazioni significative con le caratteristiche socio-demografiche delle madri rappresentate da: la cittadinanza, il titolo di studio e l’età. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita a partire dalla 12° settimana è pari al 2,6% mentre tale percentuale sale al 12,3% per le donne  straniere e donne con scolarità bassa effettuano la prima visita più tardivamente rispetto alle donne con scolarità medio-alta.

Parto cesareo più frequente nelle donne italiane

Il ricorso al parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere, nel 28,5% dei parti di madri straniere si ricorre al taglio cesareo mentre si registra una percentuale del 37,3% nei parti di madri italiane.

Il ricorso all’aborto nelle donne straniere

Altro elemento che ci può aiutare ad evidenziare le difficoltà che le donne straniere incontrano nella loro vita riproduttiva, sono i dati che riguardano l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG).

Nell’ultimo decennio soprattutto è aumentato il peso delle cittadine straniere, sia come conseguenza della loro maggiore presenza, sia del loro maggiore ricorso all’aborto rispetto alle donne italiane: 34% nel 2013 (nel 1995 era il 7%), con un tasso di abortività del 19 per 1000, corrispondente a una tendenza tre volte maggiore, in generale, e quattro volte per le più giovani. Il contributo delle donne straniere si è stabilizzato negli anni in termini percentuali ed è diminuito in valore assoluto (33.685 nel 2013 rispetto a 35.388 nel 2012 e 40.224 nel 2007).

La percentuale di IVG effettuate da donne con precedente esperienza abortiva è risultata pari al 26,8%, valore simile a quello rilevato negli ultimi 10 anni. Le percentuali corrispondenti per cittadinanza sono 20,9% per le italiane e 38% per le straniere (20,8% e 37,7%, rispettivamente, nel 2012). La percentuale di aborti ripetuti riscontrata in Italia è la più bassa a livello internazionale.

Promozione della salute delle donne immigrate e  delle donne Rom Sinti e Caminanti (RSC)

La normativa italiana garantisce il diritto di ogni donna, italiana o straniera, all’assistenza sanitaria, al sostegno psicologico e alla parità di trattamento in ambito lavorativo. Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) assicura a tutte le donne gli interventi di prevenzione, tutela della maternità, assistenza ai bambini, vaccinazioni, diagnosi e cura delle malattie infettive.

Il SSN assicura a tutte le cittadine non comunitarie che si trovino sul territorio nazionale, anche senza permesso di soggiorno o con permesso scaduto, il diritto a ricevere le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti, o comunque essenziali, per malattie e infortuni e beneficiare di programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.

Gli stranieri irregolari possono accedere ai servizi sanitari attraverso il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) valido su tutto il territorio italiano.

Anche i bambini figli di stranieri senza permesso di soggiorno hanno diritto all’assistenza del pediatra. Lo stabilisce l’Accordo Stato-Regioni 20 dicembre 2012.   

Il Ministero della salute sta partecipando al Progetto europeo EQUI-Health, coordinato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), con l’obiettivo di promuovere la salute delle popolazioni migranti vulnerabili, quali richiedenti asilo e irregolari, nonché popolazione Rom e minoranze etniche. In particolare prevede la promozione dell’integrazione socio-sanitaria per i migranti giunti nei paesi membri del Mediterraneo (Italia, Malta, Spagna, Grecia, Croazia), anche attraverso l’analisi delle condizioni di rischio di salute e delle relative buone pratiche esistenti per rispondere alle istanze dei migranti che vengono accolti nel Mediterraneo. Punto di attenzione specifico è la formazione per gli operatori sanitari, finalizzata anche al superamento delle barriere interculturali, che condizionano fortemente l’efficacia e l’efficienza dei servizi sanitari per la popolazione migrante. In questo ambito il Ministero della salute ha finanziato il progetto “La competenza interculturale nei servizi sanitari: programma di formazione formatori in Sicilia” promosso dall’OIM, che è in via di estensione anche in altre regioni italiane .

Nel febbraio 2012, è stato costituito, per il monitoraggio della Strategia Nazionale d’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti (RSC) 2012- 2020, un Tavolo per l’asse “Salute”, coordinato dal Ministero, che ha elaborato il Piano d’Azione Salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti, presentato alla Cabina di regia politica della Strategia Nazionale a dicembre 2014.

Obiettivo ultimo è quello di trasformare i RSC da utenti di servizi a tassello/nodo di una rete che sia ottimizzazione di percorsi assistenziali ed espressione di una comune progettualità di promozione della salute dell’intera comunità. 
In questa cornice di “mediazione di sistema” il piano individua la suddivisione del campo di intervento in tre macroaree:

  1. Formazione del personale sanitario e non
  2. Conoscenza e accesso ai servizi per RSC
  3. Servizi di prevenzione, diagnosi e cura.

Ricordiamo che in Italia esiste un SSN con assistenza universalistica, le modalità di accesso ai servizi possono variare  a seconda della Cittadinanza (UE- non UE) e del possesso del permesso di soggiorno.

Il Piano d’Azione Salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti è stato inviato, a fine dicembre 2015, agli Assessorati alla salute delle regioni e province autonome. L’8 febbraio 2016 si è tenuto al Ministero della Salute un Seminario nazionale per la presentazione del Piano di azione salute RSC organizzato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni in Italia (OIM), referente dell’Azione Europea EQUI Health Fostering health provision for migrants, Roma and vulnerable groups per avviare un dialogo diretto sulle azioni previste dal Piano d’Azione.


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Data di pubblicazione: 7 marzo 2008, ultimo aggiornamento 7 marzo 2016

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