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L’epatite C è un'infezione del fegato spesso asintomatica; in un'alta percentuale dei casi cronicizza e può portare a cirrosi o tumore


Epatite C

L’epatite C è una malattia infettiva del fegato causata da un virus a RNA (HCV) appartenente al genere Hepacivirus della famiglia dei Flaviviridae.
Si trasmette per via parenterale, ossia attraverso il contatto con sangue infetto o fluidi corporei che lo contengono.
L’infezione spesso decorre in maniera asintomatica o presenta sintomi vaghi e aspecifici.

Circa il 30% (15-45%) delle persone infette elimina spontaneamente il virus entro 6 mesi dall'infezione senza alcun trattamento. Nel restante 70% (55-85%) dei casi l’infezione acuta può cronicizzare e trasformarsi in una patologia di lunga durata e/o condurre alla cirrosi, una condizione grave del fegato che può portare a sviluppare insufficienza epatica e tumore del fegato.

L’OMS stima che ogni anno si verifichino circa 1,5 milioni di nuovi casi. Le persone con infezione cronica  sono circa 58 milioni. Ogni anno muoiono circa 290.000 persone a causa di patologie del fegato HCV correlate. La malattia è diffusa in tutto il mondo. I paesi con i più alti tassi di infezioni croniche sono l’Egitto, il Pakistan e la Cina.

Non è ancora disponibile un vaccino contro l’epatite C, tuttavia i nuovi farmaci antivirali ad azione diretta, estremamente efficaci e sicuri, sono in grado di curare il 95% delle persone infette.

Per approfondire

Il virus dell’epatite C si trasmette venendo a contatto con il sangue di una persona infetta (uso di droghe per via endovenosa, trasfusioni di sangue infetto, utilizzo di strumentazioni mediche o estetiche non sterili).

Ancora oggi la condivisione di aghi o siringhe è il maggior fattore di rischio di contrarre la malattia. Le trasfusioni di sangue ed emoderivati hanno rappresentato fino agli anni ’90 il fattore di rischio prevalente per la diffusione dell’HCV.

Tuttavia, dopo l’introduzione dello screening obbligatorio del sangue basato sulla ricerca degli anticorpi anti-HCV il tasso di incidenza di epatite C associato alle trasfusioni si è quasi azzerato.

Meno frequente, ma non impossibile, è la trasmissione per via sessuale. Tuttavia, il rischio è maggiore se si ha un’attività sessuale con più partner in quanto maggiore è la possibilità di contrarre malattie veneree le cui lesioni cutanee possono costituire un porta di ingresso o di uscita per il virus dell’epatite C.

L’infezione si può trasmettere per via verticale da madre a figlio in meno del 5% dei casi.

L’epatite C decorre spesso in maniera del tutto asintomatica. I sintomi, quando presenti, sono caratterizzati da dolori muscolari, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero (colorazione gialle di sclere e cute).

I sintomi si possono presentare prevalentemente dopo due o tre mesi dall’infezione.

Dopo l’infezione acuta circa il 60-80% evolve verso l’epatite cronica, spesso accompagnata da una sintomatologia aspecifica dominata spesso da uno stato di fatica e malessere persistenti.

La complicanza più frequente è rappresentata dalla cronicizzazione dell'infezione acuta; l'epatite C può diventare cronica in un’elevata percentuale di casi (si stima fino all’85%).
Inoltre, nel giro di 15-30 anni dall’infezione, circa il 20% dei pazienti con epatite cronica progredisce verso la cirrosi epatica, che è il risultato di un processo continuo di danno e riparazione del parenchima epatico con conseguente fibrosi che conduce ad insufficienza epatica.

Altre complicanze importanti sono: la formazione di varici nell’esofago e nello stomaco, che rompendosi causano emorragie e l’accumulo di liquido nell’addome (ascite) che può infettarsi.
Inoltre, le sostanze tossiche che dovrebbero essere smaltite dal fegato possono essere riversate direttamente nel sangue e arrivare al cervello, determinando uno stato confusionale che può arrivare fino al coma (encefalopatia epatica).

La complicanza più grave dell’infezione cronica da HCV è il carcinoma epatico, che colpisce ogni anno il 4-6% dei soggetti con cirrosi.

Il virus C può infettare altri tipi di cellule oltre quelle del fegato e dar luogo non solo a patologie epatiche, ma anche extraepatiche.
Grazie alla sempre maggior conoscenza del virus e del suo comportamento si è dimostrato che molte patologia  extraepatiche sono attualmente correlate all’infezione HCV.

Le associazioni più frequenti sono le seguenti:

  • Crioglobulinemia mista
    La crioglobulinemia mista è presente in circa un terzo dei pazienti con infezione cronica da HCV. La patologia è determinata dalla formazione di immunocomplessi che precipitano a temperature < 37C° (crioglobuline) e si manifesta (nell’1-2% dei casi) con astenia, dolori artro-muscolari, petecchie, formicolii, perdita di sensibilità,  agli arti inferiori.
    La crioglobulinemia mista può causare glomerulonefrite (malattia infiammatoria che interessa i reni).
  • Processi linfoproliferativi
    E’ ipotizzata una associazione tra HCV e alcuni linfomi non Hodgkin di tipo  B a basso e medio  grado di malignità, con interessamento extra-linfonodale, epatosplenico.
  • Sindrome di Sjogren o sicca sindrome
    E’ caratterizzata da secchezza della bocca e delle congiuntive per atrofia delle ghiandole salivari e lacrimali.

Dal momento che molti soggetti non sviluppano una sintomatologia classica, la diagnosi di epatite C si affida soprattutto agli esami del sangue. Molto spesso, infatti, si scopre di avere l’epatite C solo grazie a questi esami eseguiti, ad esempio, in occasione di una donazione del sangue o di un intervento chirurgico.

Gli esami disponibili per diagnosticare l’epatite C sono:

  • ricerca degli anticorpi anti-HCV, per stabilire se il soggetto è entrato in contatto con il virus e se ha, quindi, sviluppato anticorpi. Questo esame non permette di distingue tra malattia pregressa o in atto
  • ricerca dell’HCV-RNA, per determinare la presenza o meno del virus nel sangue. La valutazione della carica virale, per confermare la diagnosi di epatite C, si basa su un test molecolare basato sulla polymerase chain reaction (PCR), una tecnologia molto sensibile che consente di analizzare quantità minime del genoma dell’HCV. Se questo test risulta positivo (HCV-RNA qualitativo), significa che la replicazione virale è in corso e, quindi, vi è un’infezione. La stima della carica virale (HCV-RNA quantitativo) fornisce, inoltre, importanti indicazioni sulla risposta del paziente al trattamento e all’eventuale necessità di modificare il regime terapeutico
  • genotipizzazione virale, per stabilire il genotipo del virus (ad esempio 1a, 2a, 2b, 3…). Anche questa indagine è utile per impostare correttamente la terapia antivirale.

È, inoltre, possibile valutare in modo indiretto lo stato di infiammazione del fegato determinando i livelli delle transaminasi epatiche.

Per determinare re il grado dell’epatopatia occorre conoscere l’entità dell’infiammazione, della necrosi e dei fenomeni cicatriziali con conseguente fibrosi epatica.

Una prima indicazione si può ottenere attraverso l’ecografia epatica, ma  la valutazione della fibrosi si effettua con il Fibroscan, apparecchio molto simile ad un ecografo, che con un esame rapido (circa 5-10 minuti) ed indolore misura la durezza,  e quindi il grado di friborsi ,del tessuto epatico.

Un quadro più preciso si ha attraverso la biopsia epatica.

È, inoltre, possibile valutare in modo indiretto lo stato di infiammazione del fegato determinando i livelli delle transaminasi epatiche.

Una volta accertata la presenza del virus si può eseguire una biopsia per avere un quadro più preciso sull’entità e sul tipo di danno al fegato.

La terapia dell’epatite C negli ultimi anni ha subito una vera rivoluzione.

I primi farmaci ad essere stati impiegati sono stati l’ interferone alfa pegilato e la ribavirina, la cui efficacia non era sempre certa.

Nel 2012 sono stati immessi in commercio i farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) di I generazione, gli inibitori delle proteasi (boceprevir e telaprevir) utilizzati in associazione con interferone e ribavirina solo per alcune tipologie di pazienti.

Dalla fine del 2014, sono divenuti disponibili in Italia i nuovi DAA di II generazione (inibitori di polimerasi, inibitori di proteasi ed inibitori della proteina NS5A) che, utilizzati nelle opportune combinazioni, si mostrano un’efficacia in circa il 90% dei pazienti  e una buona tollerabilità.

In un primo momento l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) aveva stabilito la prescrizione a carico del  Servizio Sanitario Nazionale (SSN) solo per alcune categorie di pazienti; con determina n. 500 del 24 marzo 2017 la rimborsabilità dei DAA è stata estesa a tutti i pazienti con infezione HCV, indipendentemente dal grado di malattia, collocando l’Italia tra i Paesi che hanno trattato il maggior numero di pazienti. A giugno 2019 sono stati avviati al trattamento 185.694 pazienti

Farmaci attualmente disponibili in Italia

  • IFN-pegilato alfa2a; IFN-pegilato alfa2b
  • Ribavirina
  • Antivirali diretti di seconda generazione
    • Daclatasvir
    • Dasabuvir
  • Associazioni pre-costituite
    • Paritaprevir/ritonavir/Ombitasvir
    • Paritaprevir/ritonavir/Ombitasvir
    • Elbasvir/Grazoprevir
    • Sofosbuvir/Velpatasvir
    • Glecaprevir/Pibrentasvir
    • Sofosbuvir/Velpatasvir/Voxilaprevir
  • Antivirali diretti di seconda generazione in fascia C
    • Sofosbuvir
    • Sofosbuvir/Ledipasvir

Dal momento che non è disponibile un vaccino anti-HCV, le uniche misure di prevenzione realmente efficaci sono rappresentate dall’osservanza delle norme igieniche generali, e dall’adozione di corretti comportamenti quali:

  • usare il preservativo nei rapporti sessuali a rischio
  • evitare lo scambio di oggetti personali, quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi, tagliaunghie, siringhe riutilizzabili
  • in caso di tatuaggi, fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing), pratiche estetiche che prevedano l’uso di aghi, accertarsi del rispetto delle condizioni igieniche dei locali in cui vengono eseguiti e pretendere l’uso di aghi usa e getta
  • evitare lo scambio di siringhe usate.

La diagnosi precoce è fondamentale per evitare di trascurare la malattia e le sue complicanze.

È bene rivolgersi al proprio medico di famiglia per avere maggiori informazioni e sapere se e quando effettuare gli accertamenti.

Per approfondire leggi il Piano nazionale per la prevenzione delle epatiti virali B e C.


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Le informazioni pubblicate in "La nostra salute" non sostituiscono in alcun modo i consigli, il parere, la visita, la prescrizione del medico.

Data di pubblicazione: 19 aprile 2013, ultimo aggiornamento 27 luglio 2023