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Ictus e malattie cerebrovascolari

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Data ultima verifica: 27 settembre 2022


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Le malattie cerebrovascolari sono patologie del sistema nervoso centrale provocate da alterazioni della circolazione sanguigna. Tali alterazioni possono essere indotte da:

  • occlusioni dei vasi sanguigni da parte di un trombo o di un embolo;
  • rotture della parete dei vasi sanguigni;
  • alterazioni anatomo-funzionali della parete dei vasi sanguigni (alterazioni della permeabilità, restrizioni o dilatazioni del lume vasale, ecc.);
  • aumento della viscosità del sangue o modifiche di altre sue caratteristiche reologiche.

A seconda delle cause, le conseguenze sul cervello delle malattie cerebrovascolari consistono essenzialmente in: edema, ischemia (con o senza infarto cerebrale) ed emorragia.

La sintomatologia varia a seconda delle cause, dell’area cerebrale colpita, nonché della durata del deficit circolatorio (temporaneo o permanente). Spesso hanno un’insorgenza improvvisa ed eclatante, ma possono anche manifestarsi subdolamente con una sintomatologia sfumata e lentamente ingravescente nel tempo.

Le malattie cerebrovascolari più frequenti sono l’ictus ischemico (circa l’80% degli eventi cerebrovascolari acuti), l’emorragia intracerebrale (15-20%), l’emorragia subaracnoidea (3-5%) e gli eventi cerebrovascolari acuti mal definiti (1-3%).

A livello mondiale nel 2019 le malattie cerebrovascolari sono state la seconda causa di morte. Rappresentano una delle principali cause di disabilità oltre a essere responsabili di circa un decimo degli anni persi per morte prematura o disabilità (disability-adjusted life years, DALY) e di un considerevole carico sociale (burden) per il paziente e per i familiari che lo assistono.

Grazie al miglioramento dell’efficacia delle misure preventive, terapeutiche e assistenziali delle malattie cerebrovascolari e dei correlati fattori di rischio, negli ultimi decenni si è osservata una progressiva diminuzione dei tassi di  mortalità e ospedalizzazione da queste patologie, sulle quali sarà tuttavia da valutare l’impatto diretto e indiretto della COVID-19.

L' ictus (termine latino che letteralmente significa “colpo”, in inglese stroke) è una malattia cerebrovascolare acuta causata dall’improvvisa chiusura (da parte di un trombo o di un embolo) oppure dalla rottura di un vaso sanguigno che irrora l’encefalo. Nel primo caso il danno cerebrale è provocato dalla carenza/mancanza di ossigeno e glucosio (zucchero) veicolati dal sangue alle cellule nervose (ictus ischemico), nel secondo dalla fuoriuscita del sangue dal vaso (emorragia primaria o ictus emorragico).

La mortalità per ictus è del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno, ed è maggiore nelle forme emorragiche rispetto a quelle ischemiche. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi circa la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza.

La prevalenza e l’incidenza dell’ictus cerebrale aumentano con l’età, in particolare a partire dai 55 anni; dopo i 65 anni l’aumento dell’incidenza è esponenziale. Va tuttavia ricordato che nelle ultime decadi l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta in Italia e nei Paesi ad alto reddito come ampiamente dimostrato dai dati epidemiologici.

L’ictus cerebrale è caratterizzato dalla comparsa improvvisa di uno o più dei seguenti sintomi:

  • deficit di motilità e forza più (emiplegia) o meno marcato (emiparesi) e/o deficit sensitivi (formicolii, perdita di sensibilità) alla metà inferiore del viso, al braccio e/o alla gamba di un lato del corpo, con asimmetria della bocca (“bocca storta”, più evidente quando il paziente prova a sorridere) e/o incapacità di sollevare un braccio o di mantenerlo alzato allo stesso livello dell’altro e/o difficoltà a muovere una gamba;
  • difficoltà nel parlare e/o nel comprendere il linguaggio altrui;
  • disturbi visivi a uno o a entrambi gli occhi;
  • perdita di coordinazione dei movimenti, sensazione di vertigine, di sbandamento o caduta a terra;
  • mal di testa molto forte e inconsueto.

Nei casi più gravi può esservi un’alterazione dello stato di coscienza.

“TIA” è l’acronimo inglese di “Transient Ischemic Attack” (attacco ischemico transitorio) e sta a indicare l’improvvisa comparsa di segni e sintomi simili a quelli di un ictus che però, per definizione, hanno una durata inferiore alle 24 ore.

Il TIA deve essere considerato con la massima attenzione, perché può essere un campanello di allarme per un ictus vero e proprio: si manifesta, infatti, in circa un terzo dei soggetti che in seguito presentano un ictus ischemico. Inoltre, circa il 10% dei TIA recidiva a 5 anni.

In caso di comparsa di sintomi riferibili all’ictus o al TIA è indispensabile CHIAMARE SUBITO il 112/118 per il trasporto urgente e diretto al Pronto Soccorso di un Ospedale ove si effettuano le cure specialistiche dedicate all’ictus (Centri Ictus o Stroke Unit). L’ictus cerebrale è una patologia “tempo-dipendente”: in corso di ischemia prima si interviene e più cellule cerebrali si possono salvare (“il tempo è cervello”), consentendo una migliore ripresa dall’ictus. La massima efficacia dei trattamenti di riperfusione si ottiene se vengono intrapresi entro 4.5-6 ore dall’esordio dei sintomi.

Pertanto è assolutamente necessario evitare di perdere tempo: non aspettare di vedere se i sintomi migliorano spontaneamente; non chiamare e non recarsi dal medico di medicina generale (MMG) o dalla Guardia Medica; non recarsi in Pronto Soccorso con mezzi propri, anche per evitare di presentarsi in un Ospedale dove non sia disponibile almeno il trattamento trombolitico per via endovenosa.

Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti a un ictus guarisce completamente, mentre ben il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità; di questi ultimi circa la metà perde l’autosufficienza. Possibili esiti di un ictus sono: riduzione di motilità e forza di grado variabile di un lato del corpo (metà inferiore del viso, braccio e/o gamba); difficoltà di deambulazione; incapacità di compiere correttamente dei gesti in assenza di paralisi (aprassia); disturbi del linguaggio (afasia, disartria); disturbi della deglutizione; disturbi della sensibilità e della percezione, ad esempio del senso del tatto o della percezione della temperatura; disturbi della vista, ad esempio visione doppia (diplopia) e disturbi del campo visivo (emianopsia); disturbi della memoria; cambiamenti emozionali.

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Fonte:

Direzione generale della Prevenzione sanitaria - Ufficio 8

Alleanza italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari


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