Il termine di “prevenzione delle recidive di malattia vascolare cerebrale” sta ad indicare tutte quelle misure che vengono adottate per prevenire l’insorgenza di un nuovo evento vascolare cerebrale in persone che hanno già avuto un ictus oppure un TIA.
Esso nasce dall’opportunità di unificare i termini di prevenzione secondaria e terziaria, in quanto il confine fra queste ultime due definizioni è labile nel caso delle malattie cerebrovascolari e l’equivalenza degli obiettivi finali, ovvero ridurre il rischio di un nuovo evento vascolare cerebrale, fa sì che l’approccio preventivo e la sua intensità siano praticamente identici.
Infatti, per prevenzione secondaria dell’ictus cerebrale si intende l’adozione di misure profilattiche in pazienti che hanno avuto un attacco ischemico transitorio (TIA) al fine di evitare l’insorgenza di un ictus cerebrale vero e proprio, mentre con il termine di prevenzione terziaria ci si riferisce alle misure da adottare per i pazienti che hanno già presentato un evento vascolare cerebrale ischemico o emorragico (un vero e proprio ictus) al fine di ridurre la gravità e l’impatto di patologie in atto e di evitare una recidiva di malattia.
Principali misure di prevenzione delle recidive di malattia vascolare cerebrale
Le misure di prevenzione delle recidive di malattia vascolare cerebrale mirano al controllo dei fattori di rischio del paziente che ha già avuto un ictus o un TIA attraverso interventi individuali finalizzati principalmente:
Riabilitazione precoce post ictus
Dopo un ictus è importante iniziare quanto più precocemente possibile la riabilitazione, che favorisce il recupero funzionale, la prevenzione delle complicanze legate all’immobilità, nonché la gestione dei deficit e delle disabilità funzionali, aumentando la qualità della vita del paziente. I programmi riabilitativi sono individuali e possono iniziare già nelle strutture di degenza per acuti (Stroke Unit) per poi proseguire a domicilio eventualmente dopo passaggio in una struttura specialistica di riabilitazione intensiva.
Valutazione cardiovascolare post ictus/TIA
Un’accurata valutazione cardiovascolare del paziente che ha avuto un ictus o un TIA consente di evidenziare o rivalutare l’eventuale cardiopatia ischemica associata, magari silente (l’ictus e l’infarto del miocardio condividono, infatti, lo stesso processo fisiopatologico, l’aterotrombosi), nonché altre patologie concomitanti del sistema circolatorio che aumentano il rischio di recidive di malattia vascolare cerebrale, quali fibrillazione atriale, stenosi carotidee, stenosi intracraniche, forame ovale pervio e arteriopatie periferiche.
Adozione di sani stili di vita
Per ridurre il rischio di recidive di malattia vascolare cerebrale è prioritario che il paziente che ha avuto un ictus o un TIA adotti sani stili di vita, in particolare:
Terapia farmacologica a lungo termine
L’assunzione regolare e precisa di una terapia farmacologica a lungo termine da parte del paziente che ha avuto un ictus o un TIA è uno dei cardini della prevenzione delle recidive di malattia vascolare cerebrale. L’aderenza alla terapia farmacologica è spesso resa difficile dal numero di farmaci da assumere e dall’insorgenza di effetti collaterali e interferenze. La condivisione delle terapie farmacologiche da parte del paziente e l’educazione dei familiari e dei caregiver è indispensabile per migliorare l’adattamento del paziente alla sua nuova condizione, incrementare la sua motivazione e l’aderenza alla terapia.
Monitoraggio continuativo delle condizioni cliniche e attuazione di misure di supporto
Per prevenire efficacemente le recidive di malattia vascolare cerebrale è fondamentale che le condizioni cliniche del paziente che ha avuto un ictus o un TIA siano monitorate continuativamente sotto la guida del medico curante e degli specialisti di fiducia, che provvedono a prescrivere gli opportuni esami strumentali e di laboratorio, nonché a effettuare, ove necessario, le rivalutazioni diagnostiche e/o gli adeguamenti terapeutici del caso.
Un controllo regolare e costante delle condizioni cliniche del paziente può essere favorito dall’attivazione di una assistenza domiciliare programmata (ADP), laddove è necessaria la presenza, oltre al medico, di altre figure professionali (infermiere, fisioterapista, ecc.) a causa della complessità clinica e dell’eventuale presenza di complicanze (per es. piaghe da decubito). Questa forma di assistenza domiciliare integrata (ADI) ha diversi livelli di intensità e viene erogata dopo una valutazione multidisciplinare svolta a domicilio del paziente finalizzata alla comprensione delle reali esigenze, tenuto conto del supporto familiare disponibile e del contesto abitativo. La valutazione delle barriere architettoniche all’interno della casa (tappeti, mobili ingombranti, servizi igienici non adeguati) e al di fuori (per es. necessità di montascale in assenza di ascensore) è un aspetto centrale per la prescrizione di eventuali ausili. Se non effettuata già durante la degenza ospedaliera, l’attivazione dell’ADI è compito del medico di medicina generale (MMG), cui deve essere richiesta. Le modalità di attivazione e la tipologia dell’offerta differiscono ampiamente nel territorio nazionale.
Educazione sanitaria
L’educazione sanitaria mira ad aiutare il paziente che ha avuto un ictus o un TIA e la sua famiglia a comprendere la natura della malattia e delle correlate terapie, a collaborare attivamente alla realizzazione del percorso terapeutico e a prendersi cura del proprio stato di salute, per mantenere e migliorare la qualità di vita. Essa dovrebbe permettere al paziente e ai propri familiari, in particolare quelli conviventi, di acquisire e mantenere le capacità che favoriscono una gestione ottimale della patologia, attraverso lo sviluppo di competenze relative ai fattori di rischio, alla modifica degli stili di vita, alle modalità di utilizzo di apparecchiature sanitarie e di eventuali ausili, all’assunzione dei farmaci e, più in generale, all’aderenza terapeutica, nonché al riconoscimento precoce dei sintomi d’allarme e all’appropriatezza della chiamata del 112/118. La conoscenza e la condivisione del processo terapeutico e riabilitativo aiutano, inoltre, a contenere il carico emozionale che questo comporta a chi presta assistenza.
La figura del caregiver
Caregiver familiare si definisce colui che si prende cura di una persona cara in condizioni di disabilità e non autosufficienza, svolgendo una funzione di sostegno e accompagnamento. Riguarda un numero sempre maggiore di persone, in relazione all’invecchiamento progressivo della popolazione, al miglioramento delle terapie attualmente disponibili e, quindi, all’aumento delle malattie cronico-degenerative con presenza di comorbidità.
Quando un membro della famiglia si ammala improvvisamente e gravemente, come nel caso dell’ictus cerebrale, l’evento molte volte viene vissuto dalla sua famiglia come inaspettato, negativo e spesso devastante. In effetti, la diagnosi della malattia provoca una rottura dell’equilibrio familiare preesistente e richiede che tutti i componenti della famiglia si adattino reciprocamente alla nuova condizione. Il percorso di assistenza e cura non riguarda quindi solo il paziente, ma coinvolge l’intera famiglia, minando sovente le sue abitudini quotidiane, le relazioni sociali, la possibilità di studiare e lavorare. È in questo contesto che il caregiver familiare svolge un ruolo chiave, in quanto è persona che innanzitutto per motivazioni affettive si prende cura del proprio caro e contemporaneamente deve farsi carico dell’organizzazione e della gestione dell’assistenza, affiancata dalle figure professionali formalmente deputate a tali compiti (medici, infermieri, operatori sociosanitari, ecc.). Può trovarsi, dunque, in una condizione di sofferenza e disagio riconducibili ad affaticamento fisico e psicologico, solitudine, consapevolezza di non potersi ammalare per le conseguenze che la sua assenza potrebbe provocare. La somma dei compiti assistenziali con quelli familiari e lavorativi, unita a eventuali problemi economici, comporta un enorme carico emotivo ed etico che può facilmente portare a frustrazione e a uno stato di esaurimento da stress eccessivo.
È opportuno sottolineare che anche il caregiver familiare deve ricevere informazioni chiare ed esaustive sulla malattia, a iniziare dalla diagnosi e dal trattamento proposto, nonché formazione sulle mansioni che dovrà svolgere per tutta la durata del suo impegno, in modo che sia possibile prendere decisioni consapevoli sulla salute del proprio familiare (e con il suo consenso), interfacciandosi con l’équipe medica e gli operatori con competenze specifiche e tecniche. Sono, inoltre, fondamentali informazioni e orientamenti per beneficiare dei diritti e dei servizi regionali accessibili utili per l’assistenza, coordinandosi con gli enti e i servizi sul territorio per la presa in carico della cronicità e per la condivisione del percorso di cura. I caregiver devono, altresì poter ricevere all’occorrenza sostegno psicologico per il contrasto alla solitudine e all’isolamento anche attraverso gruppi di supporto o di auto mutuo aiuto.
L’aderenza terapeutica
Per aderenza terapeutica si intende l’osservanza costante e puntuale, da parte del paziente, dei consigli e delle prescrizioni del medico nonché dei suggerimenti di altri operatori sanitari in relazione:
Si tratta, pertanto, di un concetto che esprime il grado di corrispondenza del comportamento di un paziente alle raccomandazioni concordate con il medico o con altri operatori sanitari ed è un punto particolarmente delicato nella prevenzione e cura delle patologie croniche, come quelle cerebrovascolari, che richiedono trattamenti a lungo termine e ripetuti controlli nel tempo.
Il termine “aderenza” dovrebbe differenziarsi da quello di “adesione”, in quanto il primo riguarda soprattutto la corrispondenza e la conformità alle sopra citate raccomandazioni/prescrizioni, mentre il secondo si riferisce essenzialmente all’accoglimento e all’accettazione delle stesse (consenso).
L’aderenza terapeutica è un elemento essenziale per fronteggiare al meglio le malattie cerebrovascolari e i principali fattori di rischio cardio-cerebrovascolari, quali ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemie e fibrillazione atriale.
RACCOMANDAZIONI AL PAZIENTE CHE HA GIA' AVUTO UN ICTUS CEREBRALE O UN TIA
SUGGERIMENTI PER IL PAZIENTE IN TRATTAMENTO CON FARMACI ANTICOAGULANTI ORALI
Data di pubblicazione: 19 maggio 2022 , ultimo aggiornamento 26 gennaio 2024