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Audizione del Ministro Lorenzin in aula al Senato sulla diffusione del virus Ebola

Immagine d'archivio di Beatrice Lorenzin

Questo il resoconto stenografico della seduta del Ministro della salute Beatrice Lorenzin in aula al Senato sulla diffusione del virus Ebola - 9 ottobre 2014 (ndr. titoli della redazione).

"Signor Presidente, gentili senatori, sono qui per fornire a nome del Governo e congiuntamente con il Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale aggiornate informazioni - e anche una sintetica rappresentazione dell'evolversi del virus, sin dalla sua comparsa - in ordine al quadro, peraltro in continua evoluzione, relativo all'epidemia del virus Ebola ed in particolare alle ulteriori iniziative che il Governo intende adottare al fine di contrastare la diffusione dello stesso virus.

Come molti ormai sanno, il 21 marzo del 2014 il Ministero della salute della Guinea ha notificato all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) un'epidemia a rapida evoluzione causata dal virus Ebola. Già in data 4 aprile, l'Italia, tra i primissimi Paesi al mondo - se non il primo - ha emanato una circolare per richiamare agli obblighi e alle procedure connesse per il trattamento e la prevenzione delle malattie emorragiche virali. Questo è avvenuto, ovviamente, anche allertando i nostri uffici di frontiera e inoltre attivando immediatamente riunioni di coordinamento tra tutte le amministrazioni coinvolte.

L'epidemia ha presso avvio nella Forest region, ai confini con gli Stati della Sierra Leone e della Liberia e ha coinvolto successivamente la capitale Conakry. Il primo caso in Liberia è stato notificato il 30 marzo e in Sierra Leone il 25 maggio del presente anno.

L'epidemia ha un tasso di letalità del 46 per cento

Deve aggiungersi che dal dicembre del 2013, quando l'epidemia avrebbe avuto effettivamente inizio, sono stati riportati dall'Organizzazione mondiale della sanità, alla data 8 ottobre, cioè la giornata di ieri, dati dell'ultimo report dell'OMS, 8.011 casi probabili, confermati e sospetti, inclusi 3.857 decessi, con un tasso di letalità di circa il 46 per cento, in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Tali dati - come è facile intuire - sono soggetti a continue variazioni.

In Nigeria, dove il virus Ebola è stato introdotto nel mese di luglio dalla Liberia, sono stati registrati 20 casi e 8 decessi. Oltre al caso indice, si sono verificati casi secondari e terziari e, dopo il focolaio iniziale di Lagos, un cluster di casi è stato registrato a Port Harcourt, con tre casi confermati. In Senegal è stato registrato un solo caso di importazione dalla Guinea, senza ulteriori casi secondari.

Sia in Nigeria che in Senegal è stato completato il periodo di sorveglianza sanitaria di 21 giorni, senza evidenza di nuovi casi di malattia, fatto molto importante visto l'alto numero della popolazione e i grandi legami commerciali tra i due Paesi. Pertanto, entro pochi giorni, se la situazione resterà stabile, sia la Nigeria che il Senegal potranno essere rimossi dall'elenco dei Paesi da tenere sotto osservazione in relazione all'epidemia del virus Ebola. In ogni caso, si precisa che l'OMS non considera questi due Paesi tra quelli con ampia ed intensa trasmissione.

Il focolaio attualmente in corso nella Repubblica Democratica del Congo, con 70 casi (di cui l'ultimo isolato il 25 settembre) e 43 decessi (dati aggiornati a ieri), è del tutto indipendente da quelli dei Paesi dell'Africa occidentale. Anche in Congo vengono messe in atto misure di sorveglianza nei confronti dei soggetti che sono venuti in contatto con i casi di malattia che, in gran parte, hanno già superato il periodo di osservazione di 21 giorni senza sviluppare sintomi sospetti.

Il periodo di incubazione del virus è mediamente di 8-10 giorni, al massimo 21 giorni

In merito alla manifestazione del virus, come sapete, il periodo di incubazione del virus è mediamente di 8-10 giorni, con un range di 2-21 giorni. Preciso che 21 giorni è il periodo considerato massimo per scongiurare qualsiasi tipo di comparsa della malattia. Al momento non è possibile identificare i pazienti infetti durante il periodo di incubazione, in quanto si presenta in modo asintomatico, neanche con i test molecolari.

Non vi sono evidenze di trasmissione del virus per via aerea

In merito alle modalità di trasmissione (argomento che reputo estremamente importante anche per fare chiarezza tra i nostri cittadini), le informazioni scientifiche disponibili, desunte dalle pregresse epidemie di Ebola, evidenziano come il virus Ebola si trasmette attraverso il contatto diretto per via cutanea o mucosale, con sangue o altri liquidi, materiali biologici (saliva, feci, vomito, sperma), incluse le secrezioni salivari, nonché con il contatto indiretto, per via cutanea o mucosale, con oggetti contaminati con sangue o altri liquidi biologici (ad esempio gli aghi). Non vi sono evidenze di trasmissione del virus per via aerea.

Le probabilità di trasmissione del virus cambiano nel corso dalla malattia con l'evolversi delle manifestazioni cliniche. All'inizio, quando è presente solo febbre in assenza di vomito o diarrea o di manifestazioni emorragiche, il rischio di trasmissione è basso. Nelle fasi tardive, quando compaiono manifestazioni emorragiche, il rischio è significativamente più elevato e rimane molto elevato anche dopo la morte. Per questo motivo le precauzioni di isolamento raccomandate sono incrementate in relazione alla fase del percorso assistenziale, in ragione della valutazione del rischio, cioè alla probabilità che il paziente sia stato effettivamente esposto ad un malato di Ebola, stadio e decorso clinico della malattia.

Quindi, possiamo dire che l'attuale epidemia in Africa occidentale è causata da un ceppo del virus Zaire, Ebola virus, ed è la prima epidemia da virus Ebola che interessi l'Africa dell'Ovest, la più estesa mai registrata per numero di casi e diffusione geografica e la più complessa in termini di gestione e controllo. Inoltre, si tratta della prima volta che tale epidemia coinvolge grandi città.

Successivamente parleremo anche di come l'epidemia si è evoluta nell'ultimo mese e di come, a seguito di questo, l'Italia sia stata interessata (oltre alle commissioni di sicurezza europee, abbiamo partecipato al GHSA e, quindi, siamo ormai all'interno di un coordinamento mondiale per quanto riguarda il contrasto alla diffusione del virus).

Ci tengo a ribadire che tutte le organizzazioni e gli analisti hanno affermato che il virus si è trasmesso ed è cresciuto a causa di un'incapacità dei Paesi in cui è scoppiato di mettere in atto misure sanitarie che per noi sarebbero basiche: rintracciare le persone contaminate ed effettuare il risanamento. Purtroppo questo ha portato a una crescita esponenziale, su cui oggi bisogna assolutamente intervenire, per evitare che questo virus si trasformi, non soltanto in una grandissima e ulteriore tragedia sanitaria, ma anche in una tragedia umanitaria, anche con conseguenze geopolitiche di cui parlerà, sicuramente meglio di me, dopo, il vice ministro Pistelli.

Il rischio di essere infettati è più elevato per gli operatori sanitari e per il personale delle organizzazioni umanitarie

Per quanto riguarda il rischio, abbiamo evidenziato che il rischio di essere infettati è ovviamente più elevato per gli operatori sanitari e per il personale delle organizzazioni umanitarie che forniscono assistenza e cure mediche nelle zone colpite. A loro è consigliato di indossare indumenti protettivi, comprese maschere, guanti, camicie e presidi di protezione per gli occhi e di mettere in atto le misure adeguate di prevenzione e controllo delle infezioni.

Confrontandoci anche questa mattina con la Croce rossa, è emersa la necessità di un forte turnover di questi operatori, che ovviamente sono sottoposti ad un grandissimo stress, avendo adottato anche misure cautelari maggiori rispetto a quelle previste per la protezione dei pazienti: non hanno contatti fisici tra loro, non c'è scambio di mani, abbracci, contatti di alcun genere, proprio per escludere qualsiasi tipo di contaminazione tra gli operatori.

Inoltre, ieri, nella riunione che abbiamo avuto con la Cooperazione internazionale, ci siamo occupati di un'altra questione: le ONG già applicano al proprio interno misure di moral suasion, nel senso che si tende a non far partire gli operatori prima di 21 giorni. Dovremo probabilmente immaginare, insieme alla Cooperazione, di realizzare in loco zone di compensazione prima del rientro in Europa.

Serve rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza da parte degli operatori

Per quanto riguarda la presenza del virus nei Paesi extracomunitari, gli Stati Uniti d'America hanno registrato un caso di importazione. Si tratta di un cittadino liberiano che ha sviluppato sintomi compatibili con la malattia da virus Ebola il 24 settembre 2014, circa quattro giorni dopo essere giunto negli Stati Uniti d'America. Tale soggetto si è rivolto per la prima volta ad un servizio di pronto soccorso della città di Dallas il 26 settembre ed è stato messo in isolamento il 28 settembre. Il soggetto è purtroppo deceduto nella giornata di ieri, 8 ottobre. Poiché la persona era asintomatica durante il viaggio, le persone che erano a bordo degli stessi aeromobili sui quali era imbarcato il predetto soggetto non corrono rischi; sono, invece, in corso attività di contact tracing e di sorveglianza nei confronti delle persone che sono venute in contatto con la persona mentre era sintomatica, ovvero nei due giorni intercorrenti tra il momento in cui il soggetto si era presentato al pronto soccorso e quello in cui è stato messo in isolamento.

Proprio tale caso dimostra come il pericolo di diffusione della malattia da virus Ebola possa essere scongiurato solo attraverso il rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza, che nel caso americano non sono stati rispettati, atteso che la persona, pur presentando i sintomi di un possibile contagio, non è stata immediatamente isolata al primo accesso alla struttura ospedaliera, il che ha comportato, con ogni probabilità, per non dire certezza, che la predetta persona sia venuta in contatto con altri soggetti, per l'individuazione dei quali sono in corso, come sopra evidenziato, delle attività di ricerca e sorveglianza sanitaria, per poter disporre immediatamente il ricovero in idoneo ambiente ospedaliero al manifestarsi dei primi sintomi sospetti.

Sempre negli Stati Uniti, un secondo caso si è verificato nello Stato del Nebraska. Si tratta di un operatore di ripresa che ha lavorato nelle zone colpite dall'epidemia in Africa occidentale.

Anche il continente europeo ha registrato, proprio nei giorni scorsi, il primo caso di soggetto infettato. Si tratta di un'infermiera non professionale, cioè ausiliaria, che avrebbe contratto la malattia nel prestare assistenza sanitaria o comunque nell'occuparsi di un paziente, un volontario di un'organizzazione umanitaria, che aveva contratto la malattia in uno dei Paesi africani ed era stato riportato nel proprio Paese d'origine. Anche questo caso, come quello americano, si sarebbe verificato, per come sembra emergere dalle prime risultanze dell'indagine amministrativa disposta dal Ministero della salute spagnolo tuttora in corso, a causa della mancata rigorosa applicazione delle misure di sicurezza. Nella specie, l'infermiera avrebbe utilizzato non correttamente gli strumenti di protezione, il che evidenza la necessità che il personale sanitario e, più in generale, tutti coloro che forniscono cura e assistenza ai soggetti affetti dal virus di Ebola siano compiutamente formati nelle tecniche di utilizzo degli indumenti protettivi, comprese maschere, guanti, camici e presidi di protezione per gli occhi.

Ci auguriamo, ovviamente, che il caso spagnolo rimanga isolato, anche se l'OMS non esclude la possibilità di casi sporadici in Europa. Comunque, le autorità spagnole hanno provveduto ad individuare e a porre immediatamente in isolamento i soggetti con i quali l'infermiera è venuta in contatto. Gli altri casi riguardano soggetti volontariamente «importati» (come si suol dire) perché evacuati dai Paesi interessati dall'epidemia: uno già ricordato in Spagna, che purtroppo è deceduto; uno nel Regno Unito con condizioni cliniche stabili; due in Germania, un senegalese e un ugandese, cooperanti rispettivamente per l'OMS ed Emergency, dalle condizioni stabili; uno in Svizzera, operatore sanitario australiano della Federazione internazionale della Croce rossa, considerato come persona da sottoporre ad indagini, ma non come un caso sospetto probabile.

In Italia, i casi sospetti sono risultati negativi agli esami

In Italia le numerose segnalazioni dei casi sospetti - abbiamo avuto numerosissime segnalazioni che si sono intensificate nei mesi di luglio e agosto dovute anche a un sistema di allerta attivato nel Paese - pervenute sino ad oggi al Ministero della salute sono state oggetto di apposite indagini epidemiologiche e di approfondimento diagnostico, come previsto dalle circolari emanate, e hanno avuto tutte esito negativo.

Presso l'istituto Lazzaro Spallanzani è al momento ricoverato in osservazione un medico italiano impegnato per l'organizzazione non governativa Emergency in Sierra Leone, che aveva avuto un'esposizione considerata a bassissimo rischio con un caso di Ebola attualmente ricoverato in Germania. La persona in questione era del tutto asintomatica al momento del ritorno in Italia, avvenuto il 3 ottobre con un percorso da Freetown (Sierra Leone) a Casablanca (Marocco) a Fiumicino. Ad oggi è del tutto asintomatica. Il periodo di osservazione terminerà il ventunesimo giorno successivo a quello del contatto con il caso, avvenuto il 26 settembre 2014. La relazione che ci ha mandato il responsabile di Emergency ci conforta in modo molto esaustivo. La persona era stata un giorno e mezzo prima ad un rinfresco di addio con altri medici, tra cui questo dottor Michel, che poi è stato portato in Germania, però non c'era stato nessun contatto fisico tra le persone. Nel soccorso diretto o indiretto con la persona che poi si è ammalata lo staff italiano presente non ha avuto nessun tipo di contatto diretto. Quindi, quella che è in corso allo Spallanzani è una misura di precauzione, che è opportuna e ci auguriamo finisca nei tempi corretti.

L'OMS stima un picco in Africa di 20 mila casi dopo Natale

L'incremento dell'epidemia nel West Africa è stato confermato dai dati epidemiologici dell'OMS ed è stato più volte rappresentato nelle ultime settimane con una curva epidemica di cui si pensa che dopo Natale possa avere un picco di 20.000 casi. Sono intervenute e stanno intervenendo numerosissime organizzazioni internazionali, oltre a esponenti delle forze militari. Pensiamo a 3.000 persone mandate dall'esercito degli Stati Uniti, ai 750 inglesi. Anche i giapponesi e altri gruppi di cooperazione mondiale stanno intervenendo evidentemente per bloccare l'epidemia prima che superi una certa soglia. Ciò ci porta a individuare delle iniziative più forti per prevenire la diffusione del virus avendo nel contesto migliaia e migliaia di persone occidentali e ci impone l'assunzione di ulteriori iniziative che debbono andare ad aggiungersi e ad integrare quelle assunte già negli scorsi mesi e che in parte sono già state citate.

Il coordinamento europeo dell'Health security committee dell'UE

A questo proposito ricordo che il coordinamento delle misure sanitarie a livello europeo è sotto l'egida dell'Health security committee dell'Unione europea che, oltre ad avvalersi della consulenza tecnica del Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC), si basa sulle raccomandazioni fornite dall'OMS. Le raccomandazioni temporanee, emanate dal Comitato di emergenza del Regolamento sanitario internazionale dell'8 agosto 2014, sono state in tal senso reiterate lo scorso 22 settembre. Altre forme di coordinamento per gli aspetti umanitari e per quello di sicurezza fanno rispettivamente capo alla DG ECHO, cioè alla cooperazione umanitaria, e al Comitato politico per la sicurezza (CPS).

In Italia rafforzate le misure di sorveglianza in porti e aeroporti

Il Ministero della salute ha fornito, con la circolare del 4 aprile 2014 e con quelle successive (rispettivamente in data 8 aprile, 8 agosto e 1° ottobre - ndr circolare poi aggiornata il 6 ottobre), dettagliate disposizioni per il rafforzamento delle misure di sorveglianza nei punti di ingresso internazionali (porti e aeroporti), presieduti dagli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera, cosiddetti USMAF.

Noi abbiamo 12 USMAF centrali in Italia e 25 uffici territoriali. Gli USMAF sono situati all'interno di porti ed aeroporti e costituiscono un filtro contro le malattie. Sono le prime strutture chiamate a fare vigilanza igienico-sanitaria su mezzi, merci e persone in arrivo sul territorio italiano e comunitario. Negli USMAF lavorano al momento 448 persone, di cui 79 medici (a Fiumicino abbiamo 6 medici e a Malpensa 7).

L'USMAF ha attivato indispensabili collegamenti operativi con i servizi di emergenza sanitaria territoriale, tanto del Servizio sanitario nazionale, quanto dei servizi sanitari aeroportuali e delle navi.

Per consentire il rafforzamento delle misure di sorveglianza in corrispondenza dei punti di ingresso internazionali sono state date specifiche indicazioni perché il rilascio della libera pratica sanitaria alle navi che nei 21 giorni precedenti abbiano toccato uno dei porti dei Paesi colpiti avvenga solo dopo verifica, da parte dell'USMAF, della situazione sanitaria a bordo, mentre per ciò che concerne gli aeromobili è stata richiamata la necessità dell'immediata segnalazione di casi sospetti a bordo per consentire il dirottamento dell'aereo sugli aeroporti sanitari designati ai sensi del Regolamento sanitario internazionale del 2005.

Gli USMAF degli aeroporti di Roma Fiumicino e di Milano Malpensa, designati come aeroporti sanitari, hanno emanato specifiche ordinanze aeroportuali per disciplinare gli interventi in caso di segnalazioni di casi sospetti di malattie infettive a bordo di aeromobili provenienti direttamente o indirettamente dalle aree infette. L'Ente nazionale aviazione civile e il Comando generale delle Capitanerie di porto-Guardia costiera sono stati invitati a prestare la loro indispensabile collaborazione per l'efficacia e completa realizzazione di queste raccomandazioni.

Da ultimo, con la circolare del 1° ottobre (ndr, circolare aggiornata il 6 ottobre) sono state fornite indicazioni, non solo sui centri di riferimento nazionali e sui centri clinici a livello delle Regioni e Province autonome in cui possono essere gestiti casi, sospetti o confermati, di infezioni da virus Ebola, ma anche circa le modalità di stratificazione del criterio epidemiologico in base al rischio di esposizione, la valutazione iniziale e la gestione di casi sospetti o confermati di malattia da virus Ebola, le modalità per il trasporto, le precauzioni da adottare per la protezione degli operatori sanitari, le misure nei confronti di coloro che vengono a contatto con casi di malattia.

Tali misure, se sono sicuramente idonee ad individuare e trattare i casi che presentano un quadro sintomatico di una possibile infezione da virus Ebola, non sono invece sufficienti nei riguardi di coloro che manifestano tale sintomatologia solo dopo il loro arrivo nel continente europeo.

Si precisa che al momento l'Italia è destinataria di voli diretti soltanto dalla Nigeria, Paese che, com'è stato detto, ha avuto un focolaio di casi secondari e terziari legati ad un unico caso importato nel luglio 2014 e che a breve, permanendo la situazione di assenza di nuovi casi, potrà essere rimosso dall'elenco dei Paesi affetti. Tali voli diretti arrivano con cadenza trimestrale all'aeroporto di Fiumicino, dove l'USMAF è pronta ad intervenire in caso di segnalazione di casi sospetti, come del resto per qualsiasi altra provenienza.

Tutti gli altri Paesi colpiti (Guinea, Libera, Sierra Leone), sono collegati all'Italia solo mediante voli indiretti, che fanno scali in hub europei (Bruxelles, Madrid, Lisbona, Parigi ed altri) o del Nord Africa. Ne consegue che viaggiatori provenienti dalle aree colpite potrebbero arrivare in Italia attraverso voli con provenienza comunitaria o non comunitaria.

Misure per rafforzare il sistema a livello europeo

Le misure che vorremmo adottare per rafforzare il sistema sono le seguenti:

  • rafforzare e potenziare le procedure per l'individuazione dei soggetti che potrebbero essersi infettati già nei Paesi africani colpiti dall'epidemia prima del loro imbarco sugli aeromobili con destinazione in uno degli aeroporti continentali (ciò rende necessaria la cooperazione dei Paesi implicati e di tutte le ONG presenti, ma al riguardo riferirà meglio il Vice Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale);
  • l'individuazione degli stessi soggetti al momento dello sbarco, al fine di fornire agli stessi compiute informazioni attraverso l'installazione negli aeroporti di cartelloni informativi e la distribuzione di opuscoli informativi che già ci sono, ma che devono essere ancora più evidenti e più capillari sui comportamenti da tenere nell'ipotesi in cui nei giorni successivi al loro arrivo si manifestano i sintomi di una possibile infezione.

A questo proposito evidenzio che, in considerazione del ruolo di coordinamento di tutti i Ministri della salute europei che mi compete in questo semestre di presidenza italiana dell'Unione europea, ho già assunto iniziative perché la predetta campagna informativa sia svolta con modalità omogenee in tutti i Paesi dell'Unione europea convocando nella giornata di ieri una Health security committee, sostenuta in questa azione anche dall'attuale commissario europeo per la salute Borg.

Mare nostrum, 80.000 controlli sanitari a bordo delle navi

Per quanto riguarda invece l'operazione Mare nostrum, che desta preoccupazione dal punto di vista epidemiologico, la partecipazione del Ministero della salute, con i propri medici, all'attività della Marina militare (che abbiamo cominciato ad effettuare dal 21 giugno e da allora ad oggi abbiamo effettuato più di 80.000 controlli sanitari a bordo delle navi, un numero enorme, e di questo ringrazio i medici della Marina militare e i medici del Servizio sanitario nazionale che stanno prestando un lavoro straordinario) è volta proprio a consentire, quando ancora i migranti sono a bordo e prima dello sbarco sul territorio italiano, i controlli sanitari per accertare la presenza di segni e sintomi sospetti di malattie infettive, ai sensi del regolamento sanitario internazionale dell'OMS.

Ad oggi la possibilità che attraverso questo canale arrivino persone affette dalla malattia di Ebola, per i termini di incubazione di cui parlavamo prima, è veramente molto bassa.

In caso di mancanza del medico del Ministero della salute a bordo, i controlli vengono effettuati a terra. Vogliamo dunque sottolineare che ci sono due controlli: a bordo viene effettuata la maggior parte dei controlli; se non c'è un medico del Servizio sanitario nazionale, il controllo viene effettuato a terra, prima dello smistamento dei migranti verso i vari centri di accoglienza.

Legge di stabilità, stanziamento aggiuntivo per rafforzare l'acquisto di dispositivi di protezione individuali

Abbiamo già richiesto, in data 12 settembre, uno specifico stanziamento aggiuntivo, a valere sulla legge di stabilità, per rafforzare l'acquisto di dispositivi di protezione individuali. Appare infatti necessario dotare il predetto personale che compie tutte queste operazioni di ulteriori strumenti, che consentano di individuare casi sospetti, quali: misuratori a distanza della temperatura corporea, mascherine, guanti ed altro, al fine di consentire il trattamento degli stessi con tutte le conseguenti precauzioni di sicurezza.

Tutte queste iniziative richiedono, come vi ho già riferito, alcune risorse aggiuntive, sia in termini di personale che economici, per l'eventuale messa in atto di screening d'ingresso (al momento considerati dal Centro europeo controllo malattie di dubbio costo-efficacia ed utilità rispetto invece agli screening in uscita dalle zone affette), sia per la distribuzione di materiale informativo.

A tale proposito, oltre all'inserimento nel disegno di legge di stabilità di una proposta di norma per il potenziamento del personale medico presso gli uffici periferici del Ministero della salute per le attività di profilassi internazionale, in data 11 settembre 2014 è stata richiesta al Ministero dell'economia e delle finanze una integrazione sul capitolo di bilancio destinato non solo all'acquisto di materiale profilattico, medicinali di uso non ricorrente, vaccini per attività di profilassi internazionale, ma anche alla pubblicazione e diffusione dei dati e materiali per la prevenzione delle malattie infettive, inclusi dispositivi di protezione individuale.

Cooperazione internazionale per sostenere i Paesi africani colpiti dall'epidemia

A livello comunitario, dopo le conclusioni adottate dal Consiglio europeo straordinario del 30 agosto scorso, sono in corso molteplici attività di sostegno ai Paesi interessati, che coinvolgono gli Stati membri e le strutture della Commissione, in primis le direzioni generali ECHO (cooperazione umanitaria) e DEVCO (Cooperazione e sviluppo), che stanno lavorando per coordinare gli interventi in loco di cui parlerà l'onorevole Pistelli. Ritengo che queste iniziative siano la principale via da percorrere per sostenere i Paesi colpiti nel contrasto all'epidemia e nello sforzo di ricostruire i sistemi sanitari collassati da quest'emergenza.

Gli organismi europei lavorano anche con le Nazioni Unite, le sue agenzie e le organizzazioni non governative operanti nell'area. Il presidente della Commissione europea Barroso ha parlato della questione nel suo recente intervento all'Assemblea delle Nazioni Unite.

L'Italia è in grado di rimpatriare in sicurezza i propri cittadini

Siamo peraltro consapevoli che è di difficile implementazione un meccanismo condiviso da tutti, finalizzato all'evacuazione medicalmente assistita, ad alto biocontenimento, dei cittadini europei colpiti dalla malattia. A tal proposito, va precisato che sono pochissimi i Paesi in Europa, tra i quali l'Italia, a possedere tutte le risorse necessarie per tale evenienza (mezzi aerei adeguati, ambulanze e barelle speciali, materiali di protezione individuale, équipe specializzate di personale formato e strutture di ricovero in isolamento). L'Italia è uno dei pochissimi Paesi in Europa che possono garantire l'evacuazione dei propri cittadini, dalla presa in carico del paziente nell'area di contesto al caricamento a bordo in pieno isolamento, al trasferimento in assoluto isolamento in ospedale (in questo caso, l'istituto Lazzaro Spallanzani di Roma), al trattamento in strutture ad altissimo livello di biocontenimento.

Posti letto, in Italia 21 unità ad alto isolamento su 244 in Europa

La disponibilità globale di posti letto di diverso livello di isolamento nell'Unione europea è di 244 unità (anche se sono considerati di diverso livello e grado, secondo i nostri standard). Di questi, 21 unità, peraltro ad alto isolamento, si trovano in Italia. Solo 6 Paesi, ai quali si aggiungerà presto anche la Svezia, hanno mezzi aerei adeguati per l'evacuazione, 9 Paesi hanno attrezzature per il trasporto in isolamento, cioè barelle, e staff medici specificamente preparati per tali attività.

A parte i problemi d'interoperabilità tra le attrezzature di diverso tipo, acquisite dai diversi Stati membri, l'ipotesi di metterle a disposizione di cittadini non connazionali deve tener conto del fatto che si tratta di un numero assolutamente modesto di risorse in tutta Europa. Riteniamo quindi veramente molto importante poter lavorare in loco, cioè in West Africa, nella realizzazione di strutture capaci di soccorrere anche gli operatori. A queste criticità stanno lavorando diverse strutture comunitarie, in particolare il Centro di coordinamento di risposta all'emergenza (ERCC), che fa capo alle strutture comunitarie di Protezione civile.

Del ricorso ai velivoli militari si sta occupando il Comitato politico di sicurezza, che proprio in questi giorni ha raccolto ulteriori informazioni circa la disponibilità dei Paesi membri.

In tale quadro, l'Italia, in occasione della recente riunione informale dei Ministri della salute a Milano, il 22 e 23 settembre, ha ritenuto opportuno promuovere un dibattito sul tema. Vi anticipo che i Ministri presenti hanno ribadito la volontà di coordinare le risposte e di lavorare tutti insieme ad un meccanismo di azione efficace e rapido.

Strutture sanitarie mobili nelle zone colpite dall'epidemia in Africa

A quanto sopra, aggiungo che, proprio in queste ore, si sta valutando la possibilità d'inviare strutture sanitarie mobili nelle zone colpite dall'epidemia, oltre a quelle già presenti, dello Spallanzani, debitamente attrezzate per il trattamento dei pazienti, nonché personale volontario sanitario che sia disposto a recarsi nei predetti Paesi, al fine di prestare la propria attività.

Concludo questa mia relazione, che spero sia stata esaustiva, ringraziando anche tutti gli operatori e i cooperatori italiani presenti in questo momento in West Africa, che stanno lavorando da mesi in condizioni veramente eroiche, perché grazie al loro intervento sono state salvate centinaia di vite umane. (Applausi)."

Per approfondire consulta la pagina dell'area tematica malattie infettive - malattia da virus Ebola.



Data di pubblicazione: 13 ottobre 2014 , ultimo aggiornamento 23 ottobre 2014


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