La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia cronica caratterizzata dalla progressiva perdita di elasticità dei polmoni per sostituzione del normale parenchima con tessuto fibrotico.
Fa parte di un gruppo eterogeneo di oltre 200 malattie interstiziali polmonari (ILD), molte delle quali considerate rare. Tra queste, alcune fibrosi interstiziali si sviluppano nell’ambito di malattie autoimmuni (es. sclerodermia, lupus, artrite reumatoide, polimiosite, dermatomiosite), altre per prolungata esposizione nell’ambiente di lavoro a polveri organiche o inorganiche (es. silice, asbesto, metalli pesanti, prodotti utilizzati in attività agricole/allevamento), altre derivano da una ipersensibilità o tossicità da farmaci (amiodarone, farmaci chemioterapici, radioterapia del torace) o sono legate a infezioni (batteriche, virali, tubercolosi, sarcoidosi).
Nel caso della IPF, la degenerazione progressiva del tessuto polmonare riduce la capacità degli alveoli di distendersi con l'aria inspirata e di conseguenza l'efficienza nello scambio dei gas (cioè la capacità di trasferire nel sangue l’ossigeno proveniente dall’aria inspirata e quella di liberare il sangue dell’anidride carbonica, eliminandola con l’aria espirata).
Con il tempo, il tessuto fibrotico restringe i capillari presenti nell’interstizio, peggiorando ulteriormente gli scambi gassosi e causando ripercussioni sulla circolazione sanguigna e sul cuore (cuore polmonare cronico).
Si ipotizza che la IPF derivi da una serie di danni microscopici al parenchima polmonare che scatenano una risposta infiammatoria e la successiva cicatrizzazione ed irrigidimento del tessuto.
Nel 10-15% dei casi la malattia potrebbe derivare da una predisposizione genetica o forme familiari.
Alcuni fattori di rischio come il fumo di sigaretta (fumare o aver fumato nella propria vita porta ad un raddoppio del rischio di sviluppare la malattia) e il reflusso gastro-esofageo (a causa delle piccole gocce di acido che risalgono dallo stomaco e che possono raggiungere i polmoni, danneggiandoli) potrebbero concorrere allo sviluppo della fibrosi.
I sintomi sono:
La diagnosi della fibrosi polmonare si basa su:
La prognosi per la fibrosi polmonare idiopatica è purtroppo negativa: conduce a morte generalmente per insufficienza respiratoria in media dai 3 ai 5 anni dopo la diagnosi.
Non esiste una cura definitiva che porti a guarigione completa, ma solo trattamenti di vario tipo che contribuiscono ad alleviare i sintomi, ridurre le ricadute, migliorare la qualità di vita dei pazienti e rallentare la progressione della malattia aumentandone laddove possibile la sopravvivenza.
La terapia si basa sull’impiego di:
L'esatta incidenza e prevalenza della fibrosi polmonare non sono note.
Era stimata a 3-6 casi per 100.000 nella popolazione generale, tuttavia uno studio recente condotto nel Nuovo Messico indica una prevalenza maggiore (20,2 casi nei maschi e 13,2 nelle femmine per 100.000, con un’incidenza del 10,7 e del 7,4 rispettivamente). In Gran Bretagna è stata descritta un'incidenza del 4,6 per 100.000, con un incremento pari all'11% annuo tra il 1991 e il 2003. I maschi sono più colpiti delle femmine e la malattia è più frequente nell'età avanzata (picco tra i 65 e i 79 anni di età).
Ogni anno ci sono 30-35.000 nuove diagnosi in Europa, mentre negli Stati Uniti la malattia colpisce circa 200 mila persone.
Per ridurre i fattori di rischio e le complicanze della fibrosi polmonare è necessario:
Data di pubblicazione: 15 marzo 2013 , ultimo aggiornamento 25 gennaio 2024