Una revisione sistematica della letteratura sulla prevalenza dei DNA nel sesso femminile, dopo l’introduzione del DSM-5 (Dahlgren et al., 2017), ha analizzato 19 studi condotti in 10 Paesi (Finlandia, Inghilterra, Olanda, Portogallo, Svizzera, Australia, USA, Germania, Canada e Svezia).
Lo studio ha dimostrato che la transizione dal DSM 4 al DSM 5 ha comportato un aumento della prevalenza dell’Anoressia Nervosa e della Bulimia Nervosa, ma con valori molto variabili da Paese e Paese, soprattutto in relazione al disegno dello studio, ai criteri di valutazione ed alle caratteristiche.
Il DSM 5 riporta, per giovani di sesso femminile una prevalenza a 12 mesi per l’anoressia nervosa di 0.4% specificando che i dati sono meno chiari per il sesso maschile dove sicuramente la patologia è meno frequente, con un rapporto approssimativo di 10:1 fra femmine e maschi.
Per la bulimia nervosa il DSM 5 riporta, per le giovani di sesso femminile, una prevalenza a 12 mesi da 1 a 1.5%. Il dato è meno conosciuto per il sesso maschile, dove comunque la patologia è meno frequente con un rapporto di 10:1 fra femmine e maschi.
I dati epidemiologici per l’anoressia e la bulimia evidenziano che negli adolescenti e nei giovani adulti dei Paesi occidentali i DNA sono uno dei problemi di salute più comune, con uno dei più alti tassi di mortalità fra le malattie psichiatriche (Resmark et. al, 2019; Smink et. al, 2012).
La situazione epidemiologica nazionale conferma che sia l'anoressia nervosa che la bulimia nervosa sono un problema di salute pubblica di notevole interesse (Donini et al., 2017). I ricercatori nel Manuale per la cura e la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e delle obesità evidenziano come la caratteristica clinica propria dei DNA (con la presenza di forme subdole) impedisce di avere certezza sulla loro prevalenza ed incidenza.
Con un lavoro di revisione della letteratura scientifica in ambito epidemiologico, è stato evidenziato che l’incidenza (numero di nuovi casi di malattia, in una popolazione, in un determinato periodo di tempo) dell’anoressia nervosa è stimata per il sesso femminile in almeno 8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno, e fra lo 0.02 e 1.4 nuovi casi nel sesso maschile.
L’incidenza della bulimia nervosa è stimata in almeno 12 nuovi casi per 100.000 persone, in un anno per il genere femminile e di circa 0.8 nuovi casi per 100.000 persone, in un anno per il genere maschile.
Altro dato rilevante è quello della prevalenza lifetime (ossia la percentuale di una popolazione che sviluppa una determinata malattia nel corso della sua vita): nella popolazione con età superiore ai 18 anni sono stati stimati tassi di prevalenza lifetime dello 0.9% per l’AN e dell’1.5% per la BN, nelle donne, con tassi negli uomini rispettivamente dello 0.3% e 0.5%. Se si valuta invece la popolazione femminile fra i 18 ed i 24 anni i tassi sono più elevati con valori di 2% per anoressia e 4.5% per la bulimia.
I ricercatori nel documento “Appropriatezza clinica, strutturale e operativa nella prevenzione, diagnosi e terapia dei disturbi dell’alimentazione” (Bevere et al, 2013), discutendo i dati epidemiologici, evidenziano come ci sia necessità di ulteriori studi di prevalenza ed incidenza sui disturbi dell’alimentazione, su ampi campioni di popolazione e sottolineano che questo aspetto era stato discusso durante la Consensus Conference nazionale italiana sui Disturbi del comportamento alimentare negli adolescenti e nei giovani adulti, di Roma. (Rapporto ISTISAN 13/6)
In Italia, sia per l’anoressia, sia per la bulimia nervosa la fascia di età per l’esordio è 15 – 19 anni, con una tendenza negli ultimi anni ad un esordio sempre più precoce. Questo aspetto è di notevole interesse per il campo della psicopatologia, con notevoli e indubbie connessioni fra psicologia clinica e psicologia dinamica e dello sviluppo, e fa sì che debbano considerarsi, con attenzione, i fattori di rischio socio-culturali di esposizione della popolazione giovanile, adolescenziale e preadolescenziale nel nostro contesto nazionale.
L’esordio precoce rappresenta infatti un problema di primaria importanza poichè la malnutrizione può comportare danni permanenti in quegli organi e tessuti che non hanno ancora completato il loro sviluppo. Per questo i clinici hanno sottolineato, in questi ultimi anni, l’utilità di interventi precoci e della continuità della cura in questa fase cruciale per lo sviluppo della persona. (Ruocco et al 2017, Donini et al 2017).
L’importanza di interventi precoci è riferita anche nelle Linee Guida NICE 2017, che evidenziano la necessità di considerare la patologia nel suo complesso, per un approccio multidisciplinare e che possa comprendere anche le co-morbilità e le eventuali dipendenze patologiche associate.
Non sono stati identificati, ad oggi, fattori di rischio unici e specifici direttamente collegati allo sviluppo di un DNA con un rapporto causa /effetto; piuttosto si può parlare di un insieme di fattori predisponenti e predittori, genetici, biologici, familiari e psicosociali che intervengono nello sviluppo del disturbo.
Il documento di consenso sui disturbi del comportamento alimentare redatto dell'Istituto superiore di sanità in collaborazione con la AUSL Umbria 2 riconosce come condizioni predisponenti:
Sono inoltre stati identificati dalla ricerca come fattori associati allo sviluppo dei DNA i comportamenti dietetici persistenti, il sovrappeso /obesità in infanzia e adolescenza, critiche e vissuti di stigma al riguardo del peso e del corpo.
Un quarto dei pazienti adulti con disturbi dell'alimentazione sviluppa una forma "cronica e duratura" e un terzo continua a presentare sintomi residuali a lungo termine, come riportato da Remar e colleghi, che hanno recentemente svolto una revisione delle Linee Guida “evidence-based” (Resmark, 2019).
Molti pazienti, adulti e adolescenti, presentano co-morbilità come depressione, ansia, disturbi ossessivo-compulsivi.
L’outcome a lungo termine, per adolescenti con anoressia nervosa, è meno favorevole rispetto alle forme dell’adulto, come evidenziato in uno studio longitudinale di 18 anni negli adolescenti da Wentz e colleghi (Wentz, 2009), soprattutto in relazione all’effetto negativo del digiuno sulla densità ossea, la maturazione cerebrale e la crescita in generale.
Nelle Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell’alimentazione, gli autori, prendendo in considerazione l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa, evidenziano come molti sintomi siano da considerare la conseguenza della malnutrizione e non direttamente correlati alla psicopatologia. Proprio per questo solo dopo la normalizzazione del peso corporeo si può fare correttamente una valutazione clinica attendibile della personalità e del funzionamento psicosociale.
Fra l’altro alcuni dei sintomi caratteristici della malnutrizione possono avere un ruolo chiave nel mantenimento della psicopatologia dei disturbi dell'alimentazione perché sono spesso interpretati dai pazienti stessi come minaccia o fallimento (vedi senso di fame o pienezza).
I principali sintomi da malnutrizione possono essere suddivisi in effetti psicologici, psicosociali e fisici.
A maggio 2013 l’American Psychiatric Association (APA) ha pubblicato la quinta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), per la descrizione dei sintomi e dei comportamenti delle persone che soffrono di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione nel corso della loro vita.
Nelle Linee di indirizzo nazionali per la riabilitazione nutrizionale nei disturbi dell’alimentazione, gli autori evidenziano che la revisione dei criteri diagnostici pubblicata nel DSM-5 si è proposta l’obiettivo di definire una maggiore continuità diagnostica fra adolescenza ed età adulta, adattando i criteri alla possibilità di formulare la diagnosi anche in età infantile e adolescenziale.
Il DSM-5 raggruppa in una categoria diagnostica unica, chiamata “disturbi della nutrizione e dell’alimentazione”, i disturbi della nutrizione caratteristici dell’infanzia e i disturbi dell’alimentazione, con l’inclusione di nuove categorie diagnostiche e modifica di alcuni criteri diagnostici. Il DSM-IV non forniva una definizione di disturbo dell’alimentazione e questo, negli anni passati, ha provocato molti problemi nello stabilire il confine diagnostico dei disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati che non avevano criteri diagnostici positivi come l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa. Il DSM-5 fornisce la seguente definizione dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.
Il DSM-5 ha introdotto due cambiamenti importanti nei criteri diagnostici dell’anoressia nervosa:
Inoltre è stata eliminata la frase “rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra o uguale al peso minimo normale per l’età e la statura” perché richiedeva l’intenzione del paziente e la difficoltà di valutarla oggettivamente.
Nel criterio C è stata aggiunta la frase “comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche in presenza di un peso significativamente basso”. Infine, sono stati introdotti dei criteri per valutare il livello di gravità attuale sulla base dell’IMC.
L'Indice di Massa Corporea (IMC, kg/m2) si calcola: dividendo il peso, espresso in kg per il quadrato dell'altezza, espressa in metri, come indice indiretto di adiposità.
Anoressia nervosa e criteri diagnostici DSM-5
Tipo con restrizioni: durante gli ultimi 3 mesi, l’individuo non ha presentato ricorrenti episodi di abbuffate o condotte di eliminazione (per es., vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi). In questo sottotipo la perdita di peso è ottenuta principalmente attraverso la dieta, il digiuno e/o l’attività fisica eccessiva.
Tipo con abbuffate/condotte di eliminazione: durante gli ultimi 3 mesi, l’individuo ha presentato ricorrenti episodi di abbuffata o condotte di eliminazione (vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi).
In remissione parziale: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per l’anoressia nervosa, il Criterio A (basso peso corporeo) non è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo, ma sia il Criterio B (intensa paura di aumentare di peso o diventare grassi o comportamenti che interferiscono con l’aumento di peso) sia il Criterio C (alterazioni della percezione di sé relativa al peso e alla forma del corpo) sono ancora soddisfatti.
In remissione completa: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per l’anoressia nervosa, non è stato soddisfatto nessuno dei criteri per un consistente periodo di tempo.
Livello di gravità attuale
Lieve: IMC ≥ 17 kg/m2
Moderato: IMC 16-16,99 kg/m2
Grave: IMC 15-15,99 kg/m2
Estremo: IMC < 15 kg/m2
Il DSM-5 ha mantenuto gli stessi criteri diagnostici del DSM-IV con l’eccezione del criterio C (frequenza e durata delle abbuffate). Nel DSM-5 infatti è richiesto che le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verifichino entrambe, in media, almeno una volta alla settimana per 3 mesi (mentre nel DSM-IV si dovevano verificare almeno due volte la settimana per tre mesi). Inoltre, come per l’anoressia nervosa sono stati introdotti dei criteri per valutare il livello di gravità attuale sulla base del numero di episodi di condotte compensatorie per settimana. Infine, sono stati eliminati i due sottotipi (con e senza condotte di eliminazione) previsti dal DSM-IV.
Bulimia nervosa e criteri diagnostici DSM-5
In remissione parziale: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per la bulimia nervosa, alcuni, ma non tutti, i criteri sono stati soddisfatti per un consistente periodo di tempo.
In remissione completa: successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per la bulimia nervosa, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo.
Livello di gravità attuale
Gli interventi nutrizionali nel trattamento dei disturbi del comportamento alimentare, comunemente definiti disturbi dell'alimentazione possono essere attuati mediante diverse procedure, impiegate singolarmente o variamente combinate tra loro, sulla base della valutazione multispecialistica integrata (diagnosi, stato nutrizionale, motivazione, comportamento alimentare e condotte disfunzionali quali schemi rigidi, discontrollo, digiuno, vomito, ecc.).
Gli interventi si differenziano per obiettivi, strumenti e metodi, nei diversi setting terapeutici (protocolli ambulatoriali, programmi ospedalieri, residenze riabilitative) e in base allo stato nutrizionale del paziente; si effettuano, in fasi differenti del decorso clinico, con alimentazione naturale, possibile utilizzo di integratori, fino alla Nutrizione Artificiale, enterale e/o parenterale in regime di ricovero, nei casi di grave malnutrizione e di rischio quoad vitam.
Nella Riabilitazione Nutrizionale la scelta dell’intervento nutrizionale, nell’ottica dell’alleanza terapeutica, può tener conto di un approccio più propriamente rieducativo, e non forzato, per favorire la compliance del paziente.
"A lenient approach is likely to be more accettable to patients than a punitive one and less likely to impair self-esteem"
Il focus dell’intervento di riabilitazione nutrizionale varia in funzione della diagnosi e del comportamento alimentare, può essere il recupero ponderale (nei casi di più o meno grave sottopeso, per ristabilire un peso corporeo compatibile con uno stato di salute fisica e psichica) e/o il miglioramento dell’intake energetico, riducendo condotte inappropriate di compenso e discontrollo alimentare (quando presenti), tenendo anche conto che un miglioramento dell’IMC non sempre corrisponde ad un buono stato di nutrizione e ad un’adeguata composizione corporea.
In sintesi l’obiettivo della riabilitazione nutrizionale è quello di aiutare i pazienti a ristabilire gradatamente un’alimentazione corretta per distribuzione dei pasti, qualità e quantità degli alimenti (inserendo in modo guidato e graduale anche i cibi considerati “tabù”) riducendo restrizione / abbuffate / condotte di eliminazione.
Ci sono varie modalità di riabilitazione nutrizionale e il loro utilizzo varia in genere anche a seconda del modello terapeutico prescelto, le forme strutturate più comunemente applicate sono:
Questa modalità, utilizzata nei programmi di riabilitazione nutrizionale, prevede che il paziente sia assistito durante i pasti da un operatore (dietista o psicologo, educatore, infermiere formati) per superare gli ostacoli che gli impediscono un’assunzione adeguata di nutrienti per quantità e qualità.
I pasti vengono strutturati con schemi dietetici adeguati per il recupero ponderale e, con le pazienti, vengono progressivamente affrontate, discusse e gestite, la resistenza al cambiamento e le reazioni collegate alle possibili difficoltà digestive, rassicurandole riguardo alla paura di perdere il controllo sull’alimentazione e sul peso corporeo.
E’ un approccio, normalmente integrato in programmi di terapia cognitiva-comportamentale ambulatoriali e/o residenziali, volto a ridurre l’ansia nei confronti del cibo e la paura relativa all’aumento di peso. E’ una modalità che mostra attualmente evidenza di efficacia in molte forme di disturbi dell'alimentazione, anche in casi con forte resistenza al trattamento. I pazienti si alimentano “meccanicamente”, secondo schemi dietetici programmati per l’incremento ponderale fissato, considerando il cibo come una “medicina” ed evitando l’influenza di stimoli esterni o emozioni, senso di fame, sazietà, ripienezza. Tra i punti di forza di questo approccio c’è il fatto che sperimentare un progressivo incremento ponderale, in maniera prevedibile e pianificata, permette ai pazienti di ridurre la convinzione che l’assunzione di certi cibi e certe quantità di alimenti comporti la perdita di controllo sul peso corporeo
Tende a favorire il recupero di condizioni nutrizionali accettabili e di abilità che la malattia ha compromesso, affrontando, insieme alle problematiche alimentari, i fattori che influenzano il sistema fame/sazietà e il controllo del peso corporeo. E’ un approccio collaborativo, con aspetti psicoeducativi, che non ha il recupero ponderale come unico obiettivo, e mira all’empowerment del paziente: recuperando una percezione reale dei propri bisogni e affrontando progressivamente le paure legate al recupero ponderale e al cibo (desensibilizzazione sistematica dai cibi fobici), promuove l’acquisizione di nuove abilità e competenze nutrizionali, rafforza l’autoefficacia nel mettere in atto strategie alternative ai comportamenti disfunzionali e facilita la riduzione della rigidità connessa all’idea di dieta.
Il TFC è un percorso intensivo di riabilitazione nutrizionale ad approccio psicobiologico, attuato in regime semiresidenziale o residenziale, che prevede l’assistenza continuata del dietista e si incentra sulla sperimentazione guidata nel consumo dei pasti, l’interruzione progressiva della restrizione e di ogni rituale ad essa connesso, la gestione dell’ansia e degli stati emotivi che ne conseguono, il rinforzo dell’assertività, anche con l’utilizzo di tecniche derivate dalla terapia cognitiva-comportamentale (ABC di Ellis, modeling, problem solving, ristrutturazione cognitiva).
Data ultimo aggiornamento, 13 marzo 2023