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Le Demenze


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Le demenze rappresentano un insieme di patologie (demenza di Alzheimer, vascolare, frontotemporale, a corpi di Lewy, forme miste, ecc.) che hanno un impatto notevole in termini socio-sanitari, sia perché un sempre maggior numero di famiglie ne sono drammaticamente coinvolte sia perché richiedono l’attivazione di una qualificata rete integrata di servizi sanitari e socio-assistenziali.

Demenza e Disturbo Neurocognitivo

Il termine demenza indica una condizione clinica di natura cronico-degenerativa, vascolare, metabolica o infiammatoria, che si presenta dunque in diverse condizioni patologiche primarie e secondarie.

La storia naturale della demenza è caratterizzata dalla presenza di deficit cognitivi progressivi (memoria, linguaggio, funzioni esecutive e prassiche, astrazione), disturbi del comportamento e danno funzionale, con perdita dell’autonomia fino alla completa dipendenza dagli altri. Rappresenta quindi una delle maggiori cause di disabilità. 

La diagnosi di demenza è fondamentalmente clinica, sostenuta da approfonditi esami neuropsicologici e fondata su criteri diagnostici internazionali riconosciuti, con il supporto di indagini neuroradiologiche e bioumorali.

Dal punto di vista delle tipologie di demenza, le attuali classificazioni internazionali hanno introdotto delle specifiche definizioni che sostituiscono il termine “demenza” e introducono la definizione di Disturbo Neurocognitivo (Neurocognitive Disorder-NCD), distinto in un Disturbo Neurocognitivo Maggiore (Major NCD) ed in un Disturbo Neurocognitivo Minore (Minor NCD).

Altre classificazioni hanno introdotto anche la definizione di Mild Cognitive Impairment (MC), come una condizione clinica di deficit cognitivo lieve in cui resta integra l’autosufficienza della persona nelle attività della vita. È importante sottolineare che questa condizione, che deve essere opportunamente diagnosticata dallo specialista, non necessariamente avrà una progressione a demenza: in una considerevole percentuale di casi i sintomi possono infatti regredire e in alcuni casi restano stabili a lungo. Solo una percentuale dunque di persone con MCI svilupperà nel tempo demenza.

La diagnosi di DN Minore e di MCI prevede, secondo i criteri clinici internazionali, che siano rispettate alcune condizioni:

  • la preoccupazione, espressa dal paziente o da un suo familiare, per un cambiamento delle funzioni cognitive rispetto al passato 
  • la compromissione in uno o più domini cognitivi, superiori a quelle previste per l'età e il livello di istruzione del paziente.    
  • Autonomie personali e strumentali conservate. Le alterazioni cognitive devono essere infatti sufficientemente lievi da non comportare una compromissione del funzionamento sociale o lavorativo.  

Per soddisfare i criteri clinici fondamentali per l'MCI inoltre è necessario escludere altre malattie sistemiche o cerebrali in grado di spiegare il declino cognitivo (malattie metaboliche, vascolari, ecc.).

Dati epidemiologici

A livello mondiale, nel 2019 il Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD) ha stimato l’esistenza di circa 57,4 milioni di persone che vivono con la demenza, prevedendone oltre 150 milioni entro il 2050. Si stima che il numero di persone con demenza con un’età compresa tra i 30 e i 64 anni nel mondo sia di 3,9 milioni e siano invece 59 milioni le persone con Mild cognitive impariment nella popolazione mondiale con età superiore ai 60 anni. In una ridotta percentuale di casi, la demenza può tuttavia insorgere tra i 45 e i 64 anni (early-onset dementia).  

Considerato il progressivo invecchiamento della popolazione, è stata definita dall’OMS una priorità mondiale di salute pubblica.

In Italia sulla base della popolazione residente al 1° gennaio 2023 (ISTAT) è possibile stimare 1.126.961 casi di demenza nella fascia d’età uguale o superiore ai 65 anni e 23.730 casi di demenza giovanile compresi nella fascia d’età 35-64. Il numero di persone con MCI è possibile stimarlo in 952.101.

Nella popolazione residente straniera è possibile stimare 10.351 casi di demenza nella fascia d’età uguale o superiore ai 65 anni e 1.463 casi di demenza giovanile compresi nella fascia d’età 35-64.

Il numero di persone straniere con MCI è possibile stimarlo in 23.893.

Il numero stimato di persone coinvolte dal tema della demenza e del MCI è in Italia di circa 6 milioni, considerando circa 1.100.00 persone con demenza, 900.000 con MCI e 4 milioni di familiari (la composizione media dei nuclei familiari al 2022 è di circa 2,3 persone) (ISTAT).

Il costo annuo della demenza e del MCI per l’Italia è stato stimato dal gruppo di ricerca Economic Evaluation and HTA (EEHTA), del Centre for Economic and International Studies (CEIS) della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi “Tor Vergata” di Roma, in 23 miliardi di euro

Fattori di rischio

Pur essendo più frequente in età avanzata, la demenza non è tuttavia una malattia inevitabile. Esistono infatti fattori di rischio - condizioni che aumentano la probabilità di sviluppare la malattia, anche se non ne sono la causa principale – e fattori protettivi, che riducono la probabilità che compaia la malattia. Entrambi possono essere non modificabili e modificabili.

Tra i fattori di rischio non modificabili rientrano:

  • l’età e il sesso: la demenza colpisce solitamente le persone anziane e, nel caso per esempio della demenza di Alzheimer, in maggioranza le donne. In una piccola percentuale di casi (4-6%) colpisce le persone sotto i 65 anni: si parla in questo caso di demenza ad esordio precoce (o early-onset);
  • l’ereditarietà: anche se possono verificarsi più casi in una famiglia, i casi di demenza con predisposizione genetica sono solo l’1-2%.

I fattori di rischio modificabili oggi conosciuti in base agli studi più recenti (Lancet Commission Dementia-prevention, intervention,and care 2024") sono 14:

  1. Sedentarietà
  2. Fumo di sigaretta
  3. Eccessivo consumo di alcool
  4. Inquinamento atmosferico
  5. Traumi cranici
  6. Pochi contatti sociali
  7. Scarsa istruzione
  8. Obesità
  9. Ipertensione
  10. Diabete
  11. Depressione
  12. Ipoacusia
  13. Ipercolesterolemia
  14.  Perdita della vista

La Lancet Commission nelle sue ricerche sottolinea che sebbene sia necessaria maggiore evidenza per comprendere il ruolo e il peso di ciascun fattore esaminato e il modo in cui ciascuno agisce in combinazione con gli altri, emerge con forza che la demenza non è affatto una conseguenza inevitabile dell’età, neppure dopo i 90 anni, e fattori legati allo stile di vita o comunque potenzialmente reversibili, possono modificare il rischio individuale di sviluppare la demenza nel corso della vita.

La prevenzione

Quando si parla di prevenzione ci si riferisce ad un insieme di azioni che hanno il fine di proteggere lo stato di salute delle persone e promuovere dei comportamenti mirati alla cura di sé per evitare o contenere l’insorgenza di malattie.  Nel caso dei fattori di rischio noti per la demenza, l’azione di prevenzione si sviluppa lungo le diverse fasi della vita, durante le quali ridurre o eliminare questi fattori di rischio si tradurrebbe in una riduzione complessiva del rischio di sviluppare la demenza nel corso della vita.  Ogni fase della vita è importante per fare prevenzione, secondo il meccanismo per cui i fattori di rischio in giovane età (prima dei 45 anni), come la scarsa istruzione, influenzerebbero la riserva cognitiva, e i fattori di rischio in età adulta (45-65 anni) e in età anziana (oltre i 65 anni) influenzerebbero il declino cognitivo legato all’età e l’innesco dello sviluppo neuropatologico.  Già la possibilità di ritardare l’esordio della malattia di qualche anno è un enorme successo, e permetterebbe a molte persone di raggiungere il fine vita senza manifestare i sintomi di demenza. 

Esempi di interventi di fattori di rischio modificabili e possibili azioni:

  • l’istruzione: aumentando gli anni di educazione formale e informale aumenta la cosiddetta “riserva cognitiva" di una persona, con effetto protettivo dalla demenza in età avanzata;
  • l’attività fisica: i suoi effetti benefici sono molti e ben documentati: riduzione della pressione arteriosa, della glicemia, dell'obesità e del colesterolo, miglioramento delle funzioni cerebrali. Si stima una riduzione del rischio fino al 40%;
  • l’attività cognitiva: un’adeguata stimolazione intellettiva migliora la riserva cognitiva e mantiene attive le funzioni cerebrali: hobby, gioco delle carte, parole crociate, letture e attività sociali in genere
  • la depressione: la presenza di depressione in età avanzata aumenta il rischio di demenza. A volte i sintomi depressivi possono imitare quelli della demenza: in questo caso si parla di pseudodemenza, uno stato reversibile che migliora con le terapie antidepressive;
  • il fumo e l’alcool: entrambi aumentano il rischio per demenza quindi devono essere evitati
  • ipertensione, ipercolesterolemia e diabete aumentano il rischio di demenza e dunque devono essere opportunamente diagnosticati e trattati
  • la perdita dell’udito e della vista rappresentano fattori di rischio; è dunque auspicabile intervenire su tali problematiche ad esempio valutando l’uso di protesi acustiche e offrendo screening e cure per problemi di vista

Aspetti etici

Una delle conseguenze più rilevanti del declino cognitivo è la perdita della capacità decisionale. La possibilità da parte del paziente con demenza di prendere decisioni è tuttavia fondamentale per mantenere adeguati livelli di autonomia nella vita quotidiana, per il suo benessere e senso di identità; inoltre, un paziente con demenza può mancare di auto-determinazione ma grazie all’aspetto emozionale, che si mantiene fin negli stadi più avanzati della malattia, può conservare capacità eticamente rilevanti, quali comunicare una preferenza, mantenere relazioni e alcuni livelli decisionali. 

Valutare la capacità dei pazienti con demenza ha una forte valenza etico-legale, in quanto collegata alla possibilità di compiere validamente atti giuridici; le norme che regolano questo campo di indagine riflettono il dilemma del dibattito bioetico tra “protezione” del paziente da scelte potenzialmente dannose da un lato, e inviolabilità della scelta individuale dall’altro: dal momento che un giudizio di incapacità può portare a una significativa riduzione dei diritti dell’individuo, la determinazione della capacità è pertanto un campo di indagine particolarmente sensibile.

Una trattazione esaustiva degli aspetti etici è contenuta nelle Raccomandazioni per la Governance e la Clinica nel settore delle demenze. 

Diagnosi di demenza

La diagnosi di demenza è fondata sull’esame clinico e su test neuropsicologici approfonditi che valutano le funzioni cognitive come la memoria, l’attenzione, il linguaggio, le funzioni visuospaziali ed esecutive, analizzando capacità di risolvere problemi e capacità di giudizio. Esami neuroradiologici come TC cerebrale e Risonanza magnetica dell’encefalo sono richiesti per escludere altre malattie che possono provocare alterazioni cognitive come tumori cerebrali, patologia vascolare cerebrale, idrocefalo. Esami ematochimici e delle urine sono richiesti soprattutto per individuare altre malattie, come ad esempio problemi tiroidei o carenze vitaminiche, che potrebbero provocare sintomi simili alla demenza di Alzheimer ma rappresentano invece forme di alterazione cognitiva curabili.

In alcuni casi particolari, indicati dallo specialista, può essere richiesto di effettuare un esame del liquor prelevato durante puntura lombare. Una volta effettuata la diagnosi di demenza è necessario che lo specialista definisca il sottotipo di demenza. Le forme di demenza più frequenti sono rappresentate dalla demenza di Alzheimer, che costituisce oltre il 60% delle forme di demenza, e dalla demenza vascolare. Altre demenze di origine degenerativa sono in ordine di frequenza la demenza a Corpi di Lewy (DLB) e la Demenza Frontotemporale (FTD).


Per approfondire





Data di ultimo aggiornamento 20 dicembre 2024



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