I fattori di rischio dell’infarto del miocardio sono:
Nelle donne l’associazione tabagismo e contraccettivi orali aumenta il rischio di infarto del miocardio.
Il sintomo più caratteristico dell’infarto è il dolore, che può restare localizzato e limitato al torace o irradiarsi alle spalle e alle braccia (più comunemente il sinistro), al collo, alla mandibola, ai denti, al dorso.
Il dolore può assumere la caratteristica di oppressione toracica (come una morsa stretta intorno al torace o come un peso che schiaccia il torace) o di mal di stomaco, come per un’indigestione.
Il dolore può essere violento; dura almeno 10-20 minuti (in genere di più) e può talora essere parzialmente e temporaneamente alleviato dal riposo o dall’assunzione di nitroglicerina sublinguale.
Il dolore può non essere presente o essere trascurabile negli anziani, nelle persone con diabete e nelle donne.
L’infarto può dar segno di sé anche con altri sintomi: affanno improvviso (dispnea), sudorazione fredda, nausea e vomito, svenimento, vertigini improvvise, stato d’ansia intenso e angoscioso, debolezza (astenia) marcata e improvvisa.
È importante ricordare che l’infarto rappresenta un’emergenza medica.
Nel sospetto che si stia verificando un infarto è necessario non perdere tempo e chiamare immediatamente il 112/118 per essere trasportati da un’ambulanza verso l’ospedale più vicino con disponibilità di Unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) e angioplastica d’emergenza.
Le ore successive all’infarto sono, infatti, gravate dal rischio di morte improvvisa. Inoltre, tanto più tempestive sono le cure attraverso un intervento di rivascolarizzazione coronarica precoce (mediante trombolisi farmacologica oppure dilatando il vaso con intervento percutaneo; in alcuni casi mediante by-pass chirurgico aorto-coronarico), tanto maggiori sono le probabilità di evitare o ridurre danni permanenti al muscolo cardiaco, con miglioramento anche della prognosi e della qualità della vita a lungo termine.
La diagnosi di infarto acuto viene fatta in presenza di un aumento dei cosiddetti biomarker cardiaci (in particolare troponina I e T, mioglobina e creatinchinasi-MB o CKMB), associata ad almeno uno dei seguenti segni/sintomi:
In presenza di un aumento dei valori di troponina nonché di alterazioni all’elettrocardiogramma e all’ecocardiogramma suggestive di infarto, il paziente può essere avviato direttamente dal pronto soccorso alla sala di emodinamica, dove viene sottoposto ad esame angiografico (coronarografia). L’esame consiste nell’iniettare nelle coronarie (ci si arriva introducendo un catetere da un’arteria dell’inguine o del polso) un mezzo di contrasto e nell’osservare radiologicamente come vengono "colorate" da questo liquido di contrasto le coronarie stesse.
Nel caso in cui venga rilevata un’ostruzione, responsabile dell’infarto, il cardiologo decide se procedere al trattamento mediante angioplastica.
All’arrivo in pronto soccorso, il paziente infartuato viene sottoposto a monitoraggio elettrocardiografico continuo, gli viene somministrato ossigeno e, in caso di dolore molto forte, piccole dosi di morfina per via endovenosa.
Nelle prime ore dall’infarto, l’obiettivo della terapia è riaprire i vasi coronarici occlusi per evitare la morte del muscolo cardiaco; queste terapie devono essere effettuate quanto più precocemente possibile (idealmente, l’angioplastica entro 60-90 minuti dall’arrivo in ospedale, la terapia trombolitica entro 30 minuti dalla prima valutazione medica dell’infartuato, tanto da poter essere effettuata anche in ambulanza), altrimenti la parte di miocardio interessata dall’infarto non è destinata a sopravvivere all’insulto ischemico. Per questo i cardiologi dicono che "il tempo è miocardio", a sottolineare che tanto più precocemente si interviene, tanto più si ha la possibilità di salvare dalla morte il muscolo cardiaco.
Il trattamento di prima scelta per l’infarto del miocardio è l’angioplastica coronarica, che consiste nel dilatare la coronaria occlusa dal trombo, mediante uno speciale “palloncino” e nel posizionare nella coronaria riaperta uno (o più) stent, una retina metallica, che serve a “puntellare” la parete dell’arteria; la retina metallica può essere ricoperta di farmaci (stent medicato) che hanno lo scopo di evitare che si formi, nel punto in cui l‘arteria è stata dilatata, una specie di cicatrice esuberante che potrebbe ostruire nuovamente il vaso.
Nel caso in cui non sia possibile effettuare l’angioplastica (ad es. se l’ospedale dove viene trasportato il paziente non è attrezzato per effettuare questa procedura), il paziente può essere trattato con farmaci che servono a sciogliere il trombo (terapia trombolitica), somministrati per via endovenosa. In alcuni casi il trattamento dell’infarto del miocardio può richiedere un intervento chirurgico di bypass aorto-coronarico.
I pazienti infartuati vengono quindi trattati con farmaci che hanno lo scopo di minimizzare le complicanze ed evitare la comparsa di un nuovo infarto.
L’infarto del miocardio e i suoi fattori di rischio modificabili possono essere prevenuti adottando stili di vita salutari fin dall’infanzia e per tutto il corso dell’esistenza.
É, inoltre, fondamentale scoprire precocemente e gestire adeguatamente le eventuali condizioni cliniche che aumentano il rischio di infarto del miocardio (ipertensione arteriosa, dislipidemie, diabete mellito, cardiopatie, vasculopatie), anche attraverso gli opportuni trattamenti terapeutici nel caso in cui non siano sufficienti gli interventi comportamentali.
Molti dei fattori di rischio per infarto del miocardio sono modificabili attraverso l’adozione di uno stile di vita sano e, se necessario, una adeguata terapia farmacologica, seguendo le indicazioni del proprio medico curante.
Data di ultimo aggiornamento 27 settembre 2022