1.4. Radiazioni

    Data di ultimo aggiornamento Aggiornato il 02/12/2011

    L’esposizione al radon e ai suoi prodotti di decadimento rappresenta un fattore di rischio accertato per il tumore polmonare (gruppo 1 della IARC). In particolare, l’analisi combinata degli studi europei ha permesso di stimare che a ogni incremento di 100 Bq/m3 di concentrazione di radon (media su 30 anni) corrisponde un incremento di rischio del 16% circa. Inoltre, è stata evidenziata una forte sinergia tra radon e fumo di sigaretta, tale che il rischio dovuto all’esposizione al radon è molto più alto (circa 25 volte) per i fumatori che per i non fumatori. Anche per i non fumatori, comunque, vi è un aumento di rischio significativo. Il rischio aumenta in modo statisticamente significativo anche per esposizioni prolungate a concentrazioni di radon medio-basse, che non superano i 200 Bq/m3.

    L’ISS ha stimato che i casi di morte per cancro polmonare attribuibili al radon in Italia sono circa 3.200 (IC 95% 1.100-5.700) l’anno, la maggioranza dei quali tra i fumatori a causa degli effetti sinergici di radon e fumo.

    Sulla base di questi risultati si stanno sviluppando nuovi approcci finalizzati a ridurre i rischi connessi all’esposizione al radon. Tali approcci non sono più incentrati esclusivamente sulla riduzione dei valori più elevati di concentrazione di radon nelle abitazioni e nei luoghi di lavoro, ma considerano giustificati anche interventi (inclusi quelli normativi) finalizzati alla riduzione di concentrazioni di radon medio-basse, tenendo conto anche del rapporto costo-efficacia.

    Una delle strategie d’intervento con migliore rapporto efficacia-costo consiste nel prevedere negli strumenti urbanistici (piani di coordinamento, PRG, regolamenti edilizi ecc.) di tutti gli Enti preposti alla pianificazione e controllo del territorio (in particolare le amministrazioni comunali) la prescrizione per i nuovi edifici di adottare semplici ed economici accorgimenti costruttivi finalizzati alla riduzione dell’ingresso di radon e a facilitare l’installazione di sistemi di rimozione del radon che si rendessero necessari successivamente alla costruzione dell’edificio. Analoghe prescrizioni dovrebbero essere adottate per quegli edifici soggetti a lavori di ristrutturazione o manutenzione straordinaria che coinvolgano in modo significativo le parti a contatto con il terreno (attacco a terra).

    L’esposizione eccessiva alle radiazioni ultraviolette (UV) è in grado di indurre molti processi patologici a carico sia della cute (eritemi, melanomi, carcinomi spinocellulari e basaliomi, nonché invecchiamento precoce del tessuto cutaneo), sia dell’occhio (fotocheratite, cataratta). Il sole rappresenta la fonte naturale più significativa di esposizione agli UV, anche se negli ultimi anni sono andate grandemente aumentando sorgenti artificiali di radiazione ultravioletta, come le lampade abbronzanti. La IARC ha aggiornato nel 2009 la sua precedente classificazione, che vedeva la sola radiazione solare inclusa fra i cancerogeni per l’uomo (gruppo 1), includendo nel gruppo 1 anche le radiazioni UV A, B e C in quanto tali (cioè non solo in quanto componenti della radiazione solare), così come l’esposizione alle lampade e ai lettini solari per l’abbronzatura artificiale, che precedentemente erano considerati probabili cancerogeni per l’uomo (gruppo 2A).

    I danni da esposizione agli UV sono documentati, anche se in misura incompleta o parziale, soltanto per le neoplasie cutanee correlate o correlabili con l’esposizione a queste radiazioni. Il numero di individui che si ammala di melanoma cutaneo è purtroppo in crescita, anche se non si può escludere una componente legata a possibile sovradiagnosi. In Italia ogni anno muoiono circa 1.500 persone a causa di questa neoplasia della cute e circa 7.000 persone ne ricevono una prima diagnosi. Fonti Istat (2005-2006) rivelano che la mortalità per melanoma aumenta circa dell’1-2% annuo e l’incidenza dello stesso aumenta circa del 10% annuo.

    È indispensabile informare sui tempi di una corretta esposizione solare in relazione alle proprie caratteristiche fenotipiche e sulle caratteristiche delle protezioni solari. Sul versante della prevenzione occupazionale, l’esposizione alla radiazione solare deve essere considerata un rischio per i lavoratori outdoor.

    Esiste una diffusa preoccupazione nel pubblico per i possibili effetti nocivi per la salute dell’esposizione a campi elettromagnetici, sia a frequenze estremamente basse (ELF, es. la frequenza di 50 Hz della corrente elettrica), sia alle frequenze più elevate (radiofrequenze, RF). Un possibile ruolo cancerogeno dei campi magnetici ELF è stato suggerito solo in relazione alla leucemia infantile. Per questa patologia alcuni studi epidemiologici hanno evidenziato un’associazione statisticamente significativa. Per i tumori infantili diversi dalla leucemia, e per i tumori negli adulti, le evidenze scientifiche a favore dell’ipotesi di un’associazione con l’esposizione a campi magnetici ELF sono molto più deboli. Lo stesso si può affermare per patologie come depressione, suicidi, malattie cardiovascolari, disfunzioni riproduttive, malattie dello sviluppo, modificazioni immunologiche, effetti neurocomportamentali e malattie neurodegenerative.

    Sul versante delle RF, sulla base di vari studi epidemiologici, non vi sono evidenze convincenti di incremento del rischio di tumori.