Sull'istituzione di un tavolo permanente tra Regioni e Ministero della salute per la riduzione delle liste d'attesa
Signor Presidente, onorevoli senatori, vi ringrazio sinceramente per aver sollevato un tema cruciale come quello della collaborazione tra Ministero e Regioni nella gestione delle liste d'attesa. È proprio in questa collaborazione che risiede la chiave di volta per un'efficace attuazione del decreto che porta la mia firma.
Vorrei cogliere quest'opportunità per chiarire cosa intendiamo per collaborazione. Il punto di riferimento in uno Stato come il nostro è la Carta costituzionale che si rivolge alla sanità italiana in due parti fondamentali: l'articolo 32, che tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo, e il Titolo V, che definisce competenze di Stato e Regioni. La collaborazione istituzionale deve quindi esercitarsi all'interno di questo perimetro.
Il decreto sulle liste d'attesa vuole proprio riordinare i termini di questa collaborazione. La visione è chiara: con una conoscenza precisa di ogni fenomeno potremo rafforzare e proiettare nel futuro il nostro Servizio sanitario nazionale. È collaborazione quando, per la prima volta, abbiamo voluto una mappatura basata su dati e non su casi episodici; è collaborazione quando, nonostante la crisi economica, abbiamo incrementato il Fondo sanitario nazionale e introdotto incentivi detassati per chi vuole fare di più; è collaborazione lo stesso decreto collegato al disegno di legge che è frutto di un ampio confronto con le Regioni, gli ordini professionali e le associazioni dei pazienti. Tuttavia, non definirei adeguata collaborazione il confronto sul decreto attuativo che prevede poteri sostitutivi del Ministero in caso di inadempienze quando, dopo mesi di confronto tecnico, in cui tutte le richieste regionali sono state recepite, si è registrato un veto quasi unanime da parte delle Regioni.
Questo appare ancora più incomprensibile alla luce dell'ultima rilevazione dei Nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma (NAS) che, su circa 3.000 strutture ispezionate, hanno evidenziato come una su quattro presenti irregolarità organizzative.
Voglio essere chiaro: il nostro intento non è prevaricare l'autonomia regionale, ma sostenere il cambiamento a vantaggio dei cittadini. Quando parliamo dell'appropriatezza prescrittiva, ci vuole veramente massima collaborazione, che dev'essere estesa anche ai medici di medicina generale. Non è certo collaborazione quella che, a distanza di otto mesi dall'approvazione del decreto, non ha ancora prodotto una completa trasparenza delle agende.
È incomprensibile accettare che, nonostante la norma, i fondi stanziati e i continui confronti con Agenas, non ci sia ancora una completa mappatura. Chi ha realizzato questa mappatura, come il Lazio e la Basilicata, ha incrementato notevolmente l'offerta e razionalizzato la spesa.
Ringrazio ancora i senatori interroganti perché la chiave è nella collaborazione.
Da parte del Ministero c'è l'impegno, nella prossima legge di bilancio, a dedicare un budget apprezzabile all'obiettivo comune dell'abbattimento delle liste d'attesa, vincolandolo, come saggiamente suggerito proprio dagli interroganti, a specifiche assunzioni, acquisizioni di apparecchiature e prestazioni aggiuntive.
Anticiperemo i lavori. Nelle prossime settimane incontrerò i Presidenti delle Regioni, li ascolterò costruttivamente e con loro condividerò le buone pratiche cliniche per arrivare a centri unici di prenotazione (CUP) unificati, per controlli più efficaci sullo squilibrio tra le attività istituzionali e quelle libero-professionali, per una maggiore programmazione fra domanda e offerta.
Vorrei poi tornare, in conclusione, a quanto detto in premessa. Non c'è nessuna intenzione di prevaricare l'autonomia regionale e vorremmo non dover mai intervenire su di essa. Ancora una volta ringrazio gli interroganti per aver chiesto di intervenire - cito testualmente - «solo in casi di estrema inadempienza». Mi si permetta però di far notare che, da medico, l'inadempienza è grave quando porta a fissare una risonanza magnetica a distanza di due anni per un malato oncologico o situazioni analogamente inaccettabili. In questi casi, non intervenire sarebbe una grave omissione rispetto al dovere costituzionale di tutelare la salute dei cittadini, non una prevaricazione.
Senato della Repubblica
Resoconto stenografico della seduta n. 291
Giovedì 3 aprile 2025