
Rabbia
Rabbia
Che cos'è
La rabbia è una malattia causata da tutti i virus appartenenti al genere Lyssavirus, famiglia Rhabdoviridae, Ordine Mononegavirales. Tutti i lyssavirus sono considerati responsabili di encefalomielite acuta a decorso mortale con sintomatologia indistinguibile.
Oltre al virus della rabbia, a diffusione mondiale e che annovera molteplici ospiti naturali a seconda dell’area geografica di interesse, il genere Lyssavirus comprende 16 specie virali, più due la cui tassonomia rimane ancora incerta (Walker et al., 2018).
Le restanti specie virali sono caratterizzate da restrizione di ospite e geografica.
Tra questi:
- European bat 1 lyssavirus (EBLV-1)
- European bat 2 lyssavirus (EBLV-2)
- i recenti Bokeloh bat lyssavirus (BBLV)
- Lleida bat lyssavirus (LLEBV)
circolano largamente in Europa e sono stati associati ad ospiti specifici nei quali le infezioni esitano in meningoencefalite mortale, quali:
- serotino comune e il serotino meridionale (Eptesicus serotinus ed E. isabellinus) per EBLV-1
- vespertilio d’acqua e il vespertilio dasicneme (Myotis daubentonii and M. dasycneme) per EBLV-2
- vespertilio di Natterer (M. nattereri) per BBLV
- miniottero comune (Miniopterus schreibersii) per LLEBV (Banyard et al., 2014)
Quest’ultima specie di pipistrello, il miniottero, rappresenta il primo indiziato anche per il mantenimento di West Caucasian Bat Lyssavirus, che, 18 anni prima di essere identificato in Italia, era stato rinvenuto proprio in questa specie nel Caucaso.
I lyssavirus tutti sono virus labili nell’ambiente esterno, e la malattia è scarsamente contagiosa: il veicolo di trasmissione è la saliva degli animali infetti, e la via di trasmissione nella grande maggioranza dei casi è rappresentata da morsicatura.
Più raramente è possibile la trasmissione tramite graffi e tramite lambitura della cute non integra o delle mucose. Ancora più rara è da ritenersi la trasmissione secondaria a macellazione di animali infetti, testimoniata in Sud Est Asiatico in seguito a macellazione di cani per il consumo della carne.
Il virus può essere presente nella saliva dell’animale infetto già alcuni giorni (fino a 10) prima della comparsa dei sintomi, che in genere si manifestano in un periodo da 2 a 8 settimane dopo l’avvenuta esposizione. Il periodo di incubazione può essere in rarissimi casi molto più lungo, sia in relazione alla quantità di virus e al ceppo virale, sia alla modalità e alla sede di morsicatura/contatto.
Rabbia negli animali
Subito dopo l’infezione, il virus entra nella cosiddetta “fase di eclissi” ed effettua una prima replicazione nella sede di ingresso, senza scatenare nell’ospite risposta immunitaria. Il virus risale lungo le vie nervose in direzione centripeta e, una volta raggiunto il sistema nervoso centrale, determina la comparsa dei sintomi clinici.
La sintomatologia riconducibile ad infezione da lyssavirus di può riassumere in un complesso di alterazioni neurologiche e comportamentali che evolvono in modo acuto. Per convenzione si riconosce una fase prodromica, dall’infezione allo sviluppo dei sintomi, che dura di norma diverse settimane. Segni non specifici di rabbia includono: anoressia, letargia, disfagia, febbre, vomito, difficoltà urinarie e della defecazione, eventualmente diarrea. Può comparire sovente una sottile e graduale alterazione del comportamento e un’alterazione nella fonazione, inteso come aumento della vocalizzazione e cambiamento del timbro. Oltre alle alterazioni del comportamento non esiste una sintomatologia specifica e collegabile alla specie ospite. Contrariamente all’opinione comune, non sempre la rabbia si manifesta con comportamenti aggressivi: spesso infatti si osservano solo disorientamento, ottundimento e, nel caso di animali selvatici, perdita di diffidenza nei confronti dell’uomo. Col proseguire del decorso clinico in pochi giorni, si osservano poi sintomi più gravi fino ad insufficienza respiratoria, paralisi e morte.
Negli animali i sintomi clinici della rabbia sono evidenti solo quando il virus ha raggiunto il sistema nervoso centrale, e consistono inizialmente in modificazioni del comportamento e successivo sviluppo di sintomatologia neurologica.
Per quanto riguarda la definizione di caso sospetto in animali domestici e nei mammiferi selvatici, vale la seguente definizione tratta dal Codice Sanitario per gli animali terrestri OIE (art. 8.14.12.1) (2019): Nell’ambito della sorveglianza è da considerarsi caso sospetto un animale suscettibile che mostri una qualunque alterazione del comportamento e che venga a morte nell’arco di dieci giorni o che mostri uno tra i seguenti sintomi clinici: ipersalivazione, paralisi, letargia, aggressività insolita, alterazione della fonesi.
A questo proposito, è importante sottolineare come la riduzione della distanza di fuga non sia da considerarsi un comportamento anomalo in caso di animali lattanti e di soggetti feriti con impossibilità a muoversi.
Diagnosi negli animali
Negli animali suscettibili all’infezione (potenzialmente tutti i mammiferi) la rabbia causa invariabilmente encefalomielite acuta e mortale. In seguito a sospetto clinico, la diagnosi è possibile solo post-mortem e si basa sulla ricerca dell’agente eziologico nell’organo target dell’infezione, ossia il sistema nervoso centrale prelevato da animale deceduto in seguito a sintomatologia neurologica acuta.
Le metodiche diagnostiche riconosciute si basano sull’identificazione dell’antigene o degli acidi nucleici virali e può prevedere anche l’isolamento virale. Metodi di identificazione dell’antigene virale sono il test di immunofluorescenza e il test rapido di immunoistochimica. Metodiche biomolecolari sono in grado non solo di identificare la presenza di acidi nucleici virali, ma anche di caratterizzare il virus responsabile dell’infezione. Tale informazione risulta essere fondamentale per ricostruire l’origine della epizoozia.
Diagnosi nell’uomo
Il sospetto diagnostico di rabbia nell’uomo si basa sull’anamnesi (contatti con animali sospetti o confermati di infezione) e sulla sintomatologia. La diagnosi intra-vitam non sempre permette di escludere con certezza l’infezione, mentre la diagnosi post-mortem rimane il gold standard. I test diagnostici effettuati intra-vitam a partire da campioni non invasivi si basano sulla ricerca dell’agente eziologico e della risposta immunitaria specifica, quest’ultima di immediata interpretazione in caso di paziente non vaccinato. Il risultato positivo della diagnosi intra-vitam permette di confermare il sospetto. Tuttavia, un risultato negativo a test intra-vitam non permette di escludere con certezza l’infezione in atto e pertanto sono necessari ulteriori campionamenti intra vitam o la conferma post mortem.
Profilassi
La vaccinazione dei carnivori domestici è obbligatoria in caso di movimentazione internazionale (Regolamento UE n. 576/2013). Il vaccino utilizzato è inattivato e adiuvato, generalmente con sali di alluminio ed è solitamente sufficiente un’unica somministrazione per suscitare una risposta protettiva nell’animale con durata variabile tra uno e tre anni.
La vaccinazione nel serbatoio selvatico, ad oggi non effettuata in Italia, si basa invece mediante esche vaccinali contenenti virus vivo attenuato. le campagne di vaccinazione orale della volpe rossa vengono solitamente ripetute due volte nell’arco dell’anno e per più anni, al fine di ottenere l’eradicazione della malattia dal territorio. La profilassi vaccinale nell’uomo si basa sulla somministrazione intradermica (ID) o intramuscolare (IM) di vaccino inattivato e non adiuvato.
Ad oggi, l’OMS raccomanda i seguenti protocolli di profilassi:
- pre-esposizione: due somministrazioni (giorni 0-7)
-
post-esposizione:
- lavaggio e risciacquo accurati della ferita per circa 15 minuti, con sapone o detergente e abbondante quantità di acqua il prima possibile dopo l'esposizione
- se disponibile, utilizzare una preparazione topica contenente iodio o similmente virulicida
- vaccinazione (tre protocolli noti)
- in caso di esposizione grave è raccomandata inoltre l’immunizzazione passiva mediante immunoglobuline antirabbiche (RIG)