immagine di un elettrocardiogramma

Le aritmie sono disturbi del ritmo cardiaco o della frequenza cardiaca (cioè del numero di battiti al minuto). Il cuore può battere troppo velocemente (tachicardia) o troppo lentamente (bradicardia) oppure con un ritmo completamente irregolare (ad es. fibrillazione atriale). La maggior parte delle aritmie sono innocue, ma a volte possono impedire al cuore di riempirsi adeguatamente e di svolgere la sua funzione di pompa del sangue in circolo; questo può arrecare gravi danni a diversi organi (cervello, cuore, reni, ecc.).

Il cuore ha un proprio sistema elettrico interno, un tessuto che crea e conduce gli impulsi per far contrarre tutte le fibre muscolari cardiache. Il segnale elettrico nasce in un gruppo di cellule (il nodo seno-atriale), che si trova nell’atrio destro e determina la frequenza del battito cardiaco normale. Da qui il segnale elettrico si propaga al resto dell’atrio destro e al vicino atrio sinistro. Dagli atri il segnale passa ai ventricoli attraverso il nodo atrio-ventricolare, che si trova al confine tra atri e ventricoli, e quindi prosegue nel setto che separa i ventricoli attraverso il fascio di His. Successivamente il circuito elettrico si divide in due rami, la branca destra e la branca sinistra (che a sua volta si sfiocca in un fascicolo anteriore e in uno posteriore) che diffondono il segnale ai ventricoli. Un’aritmia può nascere per l’alterazione di una qualunque parte di questo circuito.

Le aritmie sono un gruppo eterogeneo di patologie.

Ecco le caratteristiche delle principali.

Extrasistoli

Sono le aritmie più comuni, quasi sempre del tutto innocue e spesso asintomatiche. Possono nascere negli atri o nei ventricoli. Si verificano anche nelle persone del tutto sane. Sono frequenti in corso di alcune cardiopatie o provocate dallo stress, dall’eccessivo uso di bevande contenenti caffeina (caffè, energy drink).

Aritmie sopraventricolari

Oltre alle extrasistoli sopraventricolari si distinguono la fibrillazione atriale, il flutter atriale e la tachicardia parossistica sopraventricolare.

  • Fibrillazione atriale e flutter atriale
     
    La fibrillazione atriale è una aritmia sopraventricolare caratterizzata da un’attività elettrica atriale caotica e irregolare ad alta frequenza, che determina la perdita della funzione meccanica della contrazione atriale, la quale contribuisce al 20-30% del riempimento ventricolare. Le pareti degli atri, infatti, "fibrillano" ovvero sussultano invece di contrarsi. Nel flutter invece gli atri battono ad alta frequenza ma in modo ritmico, perdendo comunque di efficienza contrattile. In entrambe questi tipi di aritmie le cose si complicano quando anche i ventricoli rispondono ad elevata frequenza. La complicanza più temibile della fibrillazione atriale (e del flutter) è l’ictus tromboembolico, che si verifica perché il cuore non si contrae in modo completo: viene così favorito il ristagno negli atri del sangue che può coagulare dando luogo alla formazione di trombi; questi ultimi, se immessi in circolo (emboli), possono fermarsi a livello di una arteria, come quelle cerebrali (ictus) o a livello dell’intestino (infarto intestinale), dei reni (infarto renale) o degli arti. 
    La fibrillazione e il flutter atriale possono essere causati da tutte quelle condizioni che provocano una dilatazione degli atri (es. insufficienza mitralica, ipertensione arteriosa), dalla cardiopatia ischemica, dall’ipertiroidismo, dall’abuso di alcol (soprattutto il binge drinking), dall’infiammazione, dalle pericarditi, dalla malattia del nodo del seno. L’età e il diabete rappresentano altri fattori di rischio.
  • Tachicardia parossistica sopraventriclare (Tpsv) 
    È un’aritmia caratterizzata da un’elevata frequenza e che ha inizio e fine improvvise. Si può verificare anche nei giovani, a seguito di uno sforzo fisico importante. Episodi ricorrenti di Tpsv si riscontrano frequentemente nella sindrome di Wolff-Parkinson-White, una condizione nella quale i segnali elettrici atriali passano ai ventricoli attraverso una via accessoria, senza essere ‘filtrati’ dal nodo atrio-ventricolare; per questo motivo la frequenza cardiaca può raggiungere valori estremamente elevati e compromettere in maniera severa l’efficienza emodinamica del cuore.

Aritmie ventricolari

Hanno origine nei ventricoli e possono rappresentare emergenze mediche, come nel caso della tachicardia e della fibrillazione ventricolare. Possono essere causate da eventi ischemici cardiaci.

  • Tachicardia ventricolare
    È un’aritmia che origina dai ventricoli e che induce un battito cardiaco ritmico molto rapido; può durare per pochi battiti o più a lungo (tachicardia ventricolare sostenuta). Quest’ultima rappresenta un’emergenza medica perché il cuore non riesce a pompare sangue in circolo in modo adeguato e perché può degenerare in fibrillazione ventricolare. Le tachicardie ventricolari sono causate principalmente dalla cardiopatia ischemica (infarto del miocardio, ischemia miocardica grave).
  • Fibrillazione ventricolare
    È un’aritmia caotica caratterizzata da segnali elettrici non sincronizzati che si originano dai ventricoli, i quali non riescono a contrarsi in maniera valida per pompare il sangue in circolo. La morte può intervenire nell’arco di pochi minuti, a meno che non si intervenga con un defibrillatore, un apparecchio dotato di due piastre che, appoggiate sul torace del paziente, erogano uno shock elettrico che può mettere fine a questa aritmia. La fibrillazione ventricolare si può verificare a seguito di un infarto.

Bradicardia

Si parla di bradicardia quando la frequenza cardiaca è inferiore a 60 battiti al minuto e può avere un significato fisiologico oppure patologico. Stati di bradicardia possono insorgere a causa di condizioni patologiche quali infarto, blocco atrio-ventricolare, malattia del nodo del seno, alterazione degli elettroliti nel sangue (soprattutto potassio), oppure per l’uso di alcuni farmaci cosiddetti "bradicardizzanti", quali i beta-bloccanti e la digitale.
La bradicardia è anche tipica delle persone che fanno sport a livello agonistico; questa forma in genere non rappresenta motivo di preoccupazione. Può essere fisiologica anche nei giovani e negli anziani, in questi ultimi per processi legati all’invecchiamento. Per persone non allenate una frequenza cardiaca inferiore a 40-50 battiti/min può essere emodinamicamente non efficace, mentre gli sportivi sopportano bradicardie notturne anche sotto i 40 battiti/min.

Ictus è un termine latino che significa "colpo" (in inglese stroke). Insorge, infatti, in maniera improvvisa: una persona in pieno benessere può accusare sintomi tipici che possono essere transitori, restare costanti o peggiorare nelle ore successive.

Quando si verifica un’interruzione dell’apporto di sangue ossigenato oppure uno stravaso di sangue in un’area dell’encefalo, si determina la morte delle cellule nervose di quell’area. Di conseguenza, le funzioni neurologiche controllate da quell’area (che possono riguardare il movimento di un braccio o di una gamba, il linguaggio, la vista, l’udito, l’equilibrio o altro) vengono perse.

In Italia l’ictus è la seconda causa di morte, dopo le malattie ischemiche del cuore, è responsabile del 9-10% di tutti i decessi e rappresenta la prima causa di invalidità. Ogni anno si registrano nel nostro Paese circa 90.000 ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, di cui il 20% sono recidive. Il 20-30% delle persone colpite da ictus cerebrale muore entro un mese dall’evento e il 40-50% entro il primo anno. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza.

L’ictus è più frequente dopo i 55 anni, la sua prevalenza raddoppia successivamente ad ogni decade; il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (negli uomini 7,4%, nelle donne 5,9%).

La definizione di ictus comprende:

  • Ictus ischemico: si verifica quando un’arteria che irrora l’encefalo viene ostruita dalla formazione di una placca aterosclerotica e/o da un coagulo di sangue che si forma sopra la placca stessa (ictus trombotico) oppure da un coagulo di sangue che proviene dal cuore o da un altro distretto vascolare (ictus trombo-embolico). Circa l’80% di tutti gli ictus è ischemico.
  • Ictus emorragico: si verifica quando un’arteria situata nell’encefalo si rompe, provocando così un’emorragia intracerebrale non traumatica (questa forma rappresenta il 15-20% di tutti gli ictus) oppure nello spazio sub-aracnoideo (l’aracnoide è una membrana protettiva del cervello; questa forma rappresenta circa il 3%-5% di tutti gli ictus). L’ipertensione è quasi sempre la causa di questa forma gravissima di ictus.

Bisogna inoltre ricordare l’attacco ischemico transitorio o TIA (Transient Ischemic Attack), che si differenzia dall’ictus ischemico per la minore durata dei sintomi (inferiore alle 24 ore, anche se nella maggior parte dei casi il TIA dura pochi minuti, dai 5 ai 30 minuti). Si stima che circa un terzo delle persone che presenta un TIA, in futuro andrà incontro ad un ictus vero e proprio. In Italia il numero dei ricoveri per TIA attualmente supera i 30.000 l’anno.

Negli ultimi anni si è osservata in Italia una riduzione dell’incidenza e della mortalità degli eventi cerebrovascolari, con diminuzione del numero dei ricoveri da ictus e TIA, che è dovuta al miglioramento dell’efficacia delle misure preventive, terapeutiche e assistenziali delle citate patologie e dei correlati fattori di rischio.

L’infarto è la morte di una parte del muscolo cardiaco (miocardio), dovuta a un’ischemia prolungata, cioè al mancato apporto di sangue in un determinato territorio per un certo periodo di tempo.

La maggior parte degli infarti si verifica a causa della formazione di un coagulo di sangue denominato trombo (massa solida formata da fibrina, piastrine, globuli rossi e globuli bianchi), che va a ostruire una o più arterie coronarie (le arterie che irrorano il muscolo cardiaco), interrompendo il flusso di sangue e, quindi, l’apporto di ossigeno e sostanze nutritive da esso veicolati.
Se il coagulo non viene rimosso rapidamente, la zona di miocardio irrorata da quell’arteria muore e si verifica l’infarto. Causa della trombosi è la rottura improvvisa di una placca aterosclerotica, un’alterazione della parete arteriosa dovuta ad un accumulo di grassi, proteine e tessuto fibroso, che si sviluppa lentamente all’interno di una coronaria.
Più raramente, l’infarto può prodursi per dissezione o embolia coronarica, oppure su coronarie sane per spasmo delle coronarie, condizioni di grave anemia, insufficienza respiratoria, grave abbassamento della pressione, aritmie importanti.

L’infarto colpisce gli uomini con maggior frequenza rispetto alle donne nelle età più giovani; le donne sono colpite con maggiore frequenza in età avanzata e la malattia si manifesta in modo più severo.

Nella fase acuta dell’infarto, le complicanze più temibili sono il deficit della funzione di pompa del cuore (scompenso cardiaco) e l’insorgenza di pericolose aritmie che possono causare arresto cardiaco, come la tachicardia ventricolare e la fibrillazione ventricolare; per questo motivo il paziente viene sottoposto a monitoraggio continuo dell’elettrocardiogramma.

La pressione arteriosa è la forza esercitata dal sangue contro la parete delle arterie. A ogni battito del cuore, il sangue esce dal ventricolo sinistro attraverso la valvola aortica, passa nell’aorta, e si diffonde a tutte le arterie. Quando il cuore si contrae e il sangue passa nelle arterie, si registra la pressione arteriosa più alta, detta sistolica o "massima". Tra un battito e l’altro il cuore si riempie di sangue e all’interno delle arterie si registra la pressione arteriosa più bassa, detta diastolica o "minima". La misurazione della pressione arteriosa si registra a livello periferico, usualmente al braccio, e viene indicata da due numeri che indicano la pressione arteriosa sistolica e la diastolica, misurate in millimetri di mercurio (es. 120/80 mmHg).

Quando i valori pressori di sistolica e/o di diastolica superano i 140 (per la massima) e/o i 90 (per la minima), si parla di ipertensione arteriosa.

A soffrire di ipertensione si stima che siano circa il 18% degli italiani, con prevalenza che aumenta progressivamente all’aumentare dell’età fino a superare il 50% oltre i 74 anni di vita. A questi si devono aggiungere le persone che non sono consapevoli di essere ipertesi. Controllare regolarmente la pressione arteriosa e mantenerla entro i livelli raccomandati attraverso l’adozione di stili di vita sani e assumendo specifiche terapie laddove necessario, è fondamentale per la salute, poiché questa condizione rappresenta il fattore di rischio più importante per ictus, infarto del miocardio, aneurismi, arteriopatie periferiche, insufficienza renale cronica, retinopatie e malattie legate all’invecchiamento (disturbi della memoria, disabilità).

Secondo la classificazione riportata nelle Linee guida 2018 dell’European Society of Cardiology (ESC) e dell’European Society of Hypertension (ESH) si considera ottimale una pressione sistolica inferiore a 120 mmHg e una pressione diastolica inferiore a 80 mmHg, al di sopra dei 140 mmHg di massima e/o dei 90 mmHg di minima si è ipertesi, mentre si parla di ipertensione sistolica isolata quando è solo la massima ad essere alta (cioè 140 mmHg).

Classificazione dell’ipertensione arteriosa secondo le Linee guida 2018 ESC/ESH

Categoria Pressione sistolica (mmHg) Pressione diastolica (mmHg)
Ottimale <120                             <80
Normale 120-129        80-84
Normale - Alta 130-139 85-89
Ipertensione di grado 1 140-159 90-99
Ipertensione di grado 2 160-179 100-109
Ipertensione di grado 3 ≥ 180 ≥ 110
Ipertensione sistolica isolata ≥ 140 ≤ 90

Il cuore è dotato di 4 valvole, strutture che funzionano come una porta a 2 o a 3 battenti.
Due si trovano tra gli atri (le camere superiori del cuore) e i ventricoli (le camere inferiori del cuore) e sono la valvola mitrale (tra atrio sinistro e ventricolo sinistro) e la valvola tricuspide (tra atrio destro e ventricolo destro).
Le restanti due valvole regolano l'efflusso del sangue tra ventricolo sinistro ed aorta (valvola aortica) e tra ventricolo destro e arteria polmonare (valvola polmonare).

Le valvole si aprono per consentire il passaggio del sangue dagli atri ai ventricoli (durante il rilasciamento dei ventricoli) e dai ventricoli al circolo sistemico o a quello polmonare (durante la contrazione dei ventricoli); si chiudono per impedire al sangue di refluire all'indietro.

Quando le valvole, a seguito di qualche patologia, si restringono (stenosi), il sangue passa con più difficoltà dall'atrio al ventricolo (stenosi mitralica, stenosi tricuspidale) oppure dal ventricolo alla circolazione sistemica o polmonare (stenosi aortica, stenosi polmonare).
Viceversa quando le valvole si sfiancano o non chiudono più bene, il sangue refluisce all'indietro, ad esempio dal ventricolo all'atrio (insufficienza mitralica, insufficienza tricuspidale) oppure dall'aorta al ventricolo sinistro (insufficienza aortica) o dall’arteria polmonare al ventricolo destro (insufficienza polmonare).

Il pericardio è una struttura a forma di sacco, costituita da due membrane, divise da un sottilissimo strato di liquido, che contiene e protegge il cuore.
La pericardite è l’infiammazione del pericardio e può formarsi un eccesso di liquido tra i due foglietti (versamento pericardico).

La pericardite è in genere "acuta", compare cioè improvvisamente e dura qualche settimana.
A volte può diventare "cronica" e durare cioè più di 6 mesi (pericardite essudativa cronica), con produzione di variabile quantità di liquido, o trasformarsi in un processo infiammatorio che causa ispessimento pericardico e costrizione delle cavità cardiache (pericardite cronica costrittiva).

La pericardite è più frequente tra gli uomini di 20-50 anni, ma colpisce anche le donne di tutte le età.
Negli ultimi anni c'è stato un aumento della patologia pericardica, probabilmente in seguito all’incremento degli interventi di cardiochirurgia, alla migliore sopravvivenza dei pazienti dializzati e neoplastici e al diffondersi dell’infezione da HIV.

Lo scompenso cardiaco è una condizione caratterizzata da un deterioramento della funzione del cuore tale da renderlo incapace di contrarsi (sistole) e/o di rilasciarsi (diastole) in maniera adeguata per pompare abbastanza sangue da soddisfare le esigenze dell’organismo. A causa dell’insufficienza cardiaca da un lato gli organi e i tessuti ricevono quantità insufficienti di ossigeno e sostanze nutritive per le loro necessità metaboliche (effetto a valle del cuore), dall’altro tende a verificarsi un accumulo di liquidi in eccesso nei polmoni e nei tessuti (effetto a monte del cuore).
Le conseguenze di ciò sono:

  • affanno
  • ridotta tolleranza allo sforzo
  • affaticamento
  • edema (cioè gonfiore).

La condizione può aggravarsi fino a portare all'edema polmonare acuto e alla morte.

Lo scompenso cardiaco rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale negli ultrasessantacinquenni, anche per questo è considerato un problema di salute pubblica di enorme rilievo. A soffrire di scompenso cardiaco in Italia sono circa 600.000 persone e si stima che la sua prevalenza raddoppi a ogni decade di età (dopo i 65 anni arriva al 10% circa).

È pertanto una condizione legata all’allungamento della vita media e la sua prevalenza aumenta di anno in anno a causa dell’invecchiamento generale della popolazione dovuto all’aumento della sopravvivenza e al miglioramento del trattamento dell’infarto del miocardio e delle malattie croniche (diabete, ipertensione ecc.) che lo provocano.

L’adozione di stili di vita che prevengano l’insorgenza di queste condizioni è dunque una strategia fondamentale per prevenire lo scompenso cardiaco.

La trombosi venosa profonda è la formazione di un coagulo di sangue all’interno di una vena profonda del corpo, che causa un’ostruzione parziale o completa al flusso del sangue.

Le sedi più colpite sono le grandi vene della gamba e della coscia, ma la trombosi può formarsi anche in una grande vena del braccio, del collo o dell’addome.

La complicanza più temuta di questa condizione è l’embolia polmonare, un’evenienza che si verifica quando un frammento di trombo si stacca e passa in circolo, arriva al cuore destro per poi andarsi a fermare a livello di uno o più vasi arteriosi polmonari, quando il calibro di questi ultimi diventa troppo piccolo per farlo passare, determinando un’ostruzione al flusso sanguigno.
La trombosi venosa profonda è più frequente nella popolazione anziana, anche se può colpire qualsiasi età.