foto di corridoio ospedale

Il Mycobacterium chimaera è un batterio identificato per la prima volta nel 2004, diffuso in natura, presente soprattutto nell’acqua potabile e generalmente non pericoloso per la salute umana.

Casi invasivi di M. chimaera sono stati riscontrati in Europa, e non solo, e sono stati associati all’utilizzo di dispositivi di raffreddamento/riscaldamento (Heater-Cooler Devices, HCD) necessari a regolare la temperatura del sangue in circolazione extra corporea durante interventi cardiochirurgici, per lo più per contaminazione dei pazienti tramite aerosol proveniente dall’acqua delle taniche dei dispositivi. La prima identificazione di un caso di infezione associato a questo tipo di dispositivo risale al 2014, anche se attraverso indagini retrospettive è stato possibile riconoscere anche casi verificatisi precedentemente, a partire dal 2011.

Il periodo di incubazione dopo l'esposizione al M. chimaera risulta lungo, con una mediana di 17 mesi (range 3-72 mesi). Segni e sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso. Non esiste una terapia stabilita e il tasso di mortalità è circa del 50%. Attualmente, l’entità dell’epidemia globale non è nota con esattezza.
L’Italia sembrava esclusa dall’emergenza di queste nuove infezioni.

Il Ministero della Salute, alcuni mesi fa, all’interno della cornice istituzionale rappresentata dal Piano Nazionale di contrasto dell’antibiotico-resistenza (PNCAR) 2017-2019, ha avviato un’attività di valutazione del rischio per il nostro Paese allo scopo di emanare raccomandazioni specifiche.

Questa fase preliminare include diverse azioni, tra cui:

  • un approfondimento dei dati raccolti a partire dal 2016 dall’ISS, che hanno evidenziato la circolazione del micobatterio anche in Italia
  • la richiesta alle regioni di dati relativi a eventuali casi, sporadici o in cluster, di infezione invasiva da Mycobacterium, anche attraverso un’analisi retrospettiva dei dati stessi
  • una verifica su Dispovigilance (sistema informativo per la rete nazionale di vigilanza sugli incidenti che coinvolgono dispositivi medici) di eventuali eventi riportati.

Si è in attesa di ricevere riscontro dalle regioni e il ritardo è probabilmente dovuto al fatto che il lungo periodo di incubazione e la scarsa specificità del quadro clinico rendono complessa e laboriosa l’identificazione di casi possibili che devono, comunque, essere confermati da indagini di laboratorio specifiche, non sempre disponibili per i casi individuati retrospettivamente.

Come può avvenire il contagio?

Il Mycobacterium chimerae è responsabile di infezioni associate a interventi di cardiochirurgia a cuore aperto con esposizione a generatori termici in sala operatoria (heater cooler devices, che servono a regolare la temperatura del sangue durante questo tipo di  interventi).
Si tratta di contaminazione ambientale con il batterio in sala operatoria e sul campo chirurgico. Sono stati segnalati 100 casi a livello mondiale con una letalità del 50%.
Il rischio di contrarre la malattia è considerato sostanzialmente basso (1 su 10000 pazienti) secondo il Public Health England.
È stata costituita una Task Force Europea  al fine di ridurre al massimo i rischi di contaminazione.

Nel 2015 il CDCE (centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ha diffuso in tutta Europa un Rapid RISK Assessment a tutti gli specialisti e MMG sulle infezioni associate a questa tipologia di attrezzature.
Il CDCE ha diffuso proprio un protocollo specifico per la identificazione dei casi con test di laboratorio e test ambientali, indicando la metodologia del test ambientale. A fine 2016 altro Rapid RISK Assessment dell’ECDC europeo con nuove misure preventive come la collocazione dei macchinari fuori dalla sala operatoria.

Infine l’Health Security Committee composta da esperti della Commissione Europea ha emanato un comunicato per favorire lo scambio di informazioni tra Stato Membri, implementare le misure di controllo in tutta Europa e coordinare le autorità europee nell’eventualità d’identificazione di nuovi casi.

Si può parlare di epidemia?

Gli elementi a nostra disposizione sono ancora insufficienti per parlare di epidemia o di cluster o per escludere una di queste evenienze. Non dobbiamo dimenticare, tra l’altro, che il tempo di latenza tra la possibile esposizione e la comparsa dei sintomi è particolarmente lungo, andando dai 18 mesi ai 5 anni, rendendo complessa l’identificazione di una comune fonte di esposizione tra i casi.
Sicuramente è necessario che le regioni, che hanno la responsabilità dell’assistenza dei pazienti e a cui abbiamo chiesto, da tempo, i dati su eventuali casi, li condividano quanto prima con il Ministero per metterci nelle condizioni di effettuare un’analisi della situazione nel nostro Paese, valutare e quantificare l’eventuale rischio epidemiologico, elaborare, se opportuno, specifiche raccomandazioni, coinvolgendo gli altri attori istituzionali e non, a tutti i livelli, che abbiano un ruolo. Nel frattempo, ribadiamo l’importanza della corretta gestione e bonifica dei dispositivi medici, nonché l’applicazione delle misure, comportamentali e ambientali, per la prevenzione delle infezioni in ambito assistenziale.
Ricordiamo che la prevenzione e il controllo delle infezioni correlate all’assistenza è una delle linee operative e priorità del Piano Nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR) 2017-2020, su cui sta lavorando uno specifico Gruppo tecnico coordinato dalla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero e che coinvolge esperti e rappresentanti istituzionali.

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Data di pubblicazione: 21 novembre 2018, ultimo aggiornamento 22 novembre 2018